Napoli. La gente non vuole quel “Pulcinella”. Possiamo vivere liberi dall’eccesso
La discutibile installazione sistemata in piazza a Napoli che sta suscitando polemiche e dissensi
“Importante che se ne parli”. “Purché se ne parli”. Da più parti sentiamo ripetere queste parole a proposito dell’opera d’arte di Gaetano Pesce, esposta a Napoli. In verità, i giudizi e i commenti su di essa sono quasi tutti negativi, ironici, sarcastici. Nessun dibattito costruttivo a proposito. Quel “coso”, con la sua allusione chiaramente volgare, non piace. Nessuno vuole esporre alla lapidazione i responsabili. Basterebbe prendere atto del fallimento, chiedere scusa e fare marcia indietro. Invece, no. E con quel “purché se ne parli”, lo scopo sarebbe stato raggiunto.
Napoli è assurta, in questi giorni, a capitale mondiale dell’attenzione mediatica grazie proprio a questo incomprensibile Pulcinella che del vero Pulcinella non ha niente. Se non ci fosse stato rivelato, nessuno lo avrebbe indovinato. Penso che, nella fretta di trovare una giustificazione, non si è fatto caso alla gravità delle affermazioni di cui dicevamo. In questi ultimi mesi – per non dire anni – stiamo assistendo al ripetersi di tragedie di inaudita gravità e stupidità. Non vale la pena rifare l’elenco dei giovani che ammazzano padri, madri, fratelli, amanti, amici, sconosciuti, per una sciocchezza. Basta un rimprovero, un rifiuto, un’occhiata alla loro ragazza ed ecco che il mondo gli crolla addosso. Studiosi dei meandri della mente umana ci dicono che, sovente, è il desiderio – inconscio? – di apparire a spingerli a tali gesti eclatanti. Un “mi piace” messo o negato riesce a scatenare liti e malumori. Pur di apparire si è disposti a tutto, finanche denudarsi in pubblico, sdraiarsi sui binari mentre passa il treno, o guidare contromano a fari spenti.
Gli adulti, quindi, con intelligente e paziente serietà, hanno il dovere di affrontare questa situazione dalle conseguenze potenzialmente tragiche, e aiutare i figli a resistere alla tentazione del pericolosissimo “purché se ne parli”. In qualsiasi campo – della musica, dello sport, della politica, della fede – non è importante che se ne parli, ma che se ne parli bene. A nessuno farebbe piacere ritrovarsi sulle pagine dei giornali per aver rubato, calunniato, stuprato, ucciso. Certi scheletri è bene tenerli nascosti nei vecchi armadi di legno massiccio. Ipocrisia? No, assolutamente. La parola esprime il pensiero, ma anche lo nasconde, lo aggiusta, lo ridimensiona. Guai se ogni pensiero che ci balena per la testa, ogni fantasia, ogni desiderio, ogni moto del nostro animo dovesse per forza essere svelato sarebbe una tragedia. Sono passati 54 anni da quando nel manicomio di Pozzuoli morì Leonarda Cianciulli, la donna passata alla storia come “la saponificatrice di Collegno”. Ebbe, costei, il coraggio di uccidere tre amiche e farne saponette. Orripilante. Al punto che “se ne parla” ancora, e ancora se ne parlerà. Prima di argomentare, scrivere, intervenire in pubblici dibattiti, occorrerebbe riflettere sulle conseguenze che possono avere sulle persone più fragili quelle parole dette.
Gli uomini non sono tutti uguali, ma diversi, per età, cultura, censo, educazione, sensibilità. Anche per questo quell’opera d’arte – e continuo a chiamarla così – non andava installata. Il popolo è sovrano, diciamo. Almeno sulla carta, è così. Proprio per questo, chi lo rappresenta dovrebbe essere in grado di interpretarne i gusti, i bisogni, le speranze. Nessuno ha il diritto di calare dall’alto qualcosa che magari gli aggrada, senza avere prima, in qualche modo, sondato il terreno. Non mi permetto di irridere l’arte – moderna o antica che sia – come non mi permetto di irridere le canzoni bocciate a Sanremo, o i film che non piacciono e nessuno va a vedere. Quando, però, un’opera esce dal laboratorio, dal set, dallo studio di registrazione e si espone al pubblico, chi l’ha pensata ed eseguita deve essere pronto a ricevere applausi o fischi. In caso contrario, deve tenersi per sé il frutto del suo estro. Il popolo napoletano ha bocciato senza appello questo ultimo esperimento. Prendiamone atto; facciamo ammenda. Chiediamogli scusa, e cerchiamo di non ricadere nell’errore. Togliamo “l’intruso” dalla nostra antica piazza e guardiamo avanti. E non si tirino in ballo i turisti.
Erano già approdati a Napoli quando, incuriositi, decisero di dare un’occhiata al Pulcinella riveduto e corretto. Smettiamola di aggrapparci sugli specchi. Smettiamola di dire che, perché se ne sta parlando finanche in America, vuol dire che l’idea ha funzionato. Non è così. Di questo passo, pur senza volerlo, s’imbocca una pericolosa discesa. Le parole in libertà sono come le piume di una gallina spennata. Il vento le trascina dove non avresti mai pensato. Volerle raccogliere dopo è impossibile. Lo ribadiamo ancora una volta: di qualsiasi idea, discorso, progetto, programma, azione, persona, non possiamo accontentarci “che se ne parli”: occorre fare di tutto perché “se ne parli bene”.