Settimana Santa. Noi «piagati dalla pandemia». E le morti da cui risorgere
L’anno scorso, per la Settimana Santa del 2020, il Covid era iniziato da poco. Ad aprile l’Italia era già stata dichiarata 'zona protetta', eravamo già in lockdown, c’erano stati i primi morti ma, un anno fa, non avevamo ancora colto il problema in tutte le sue terribili proporzioni. A un anno di distanza possiamo dire che, per moltissimi, l’attuale Settimana Santa è quella dei 'piagati dalla pandemia'. Ci sono i contagiati sopravvissuti al virus, ci sono quelli colpiti dal lutto a causa del virus, ci sono le persone che hanno perso il lavoro o che l’hanno visto seriamente compromesso. Fare numeri precisi è difficile, ma gli ordini di grandezza sono facilmente ricostruibili. E questo giornale aiuta da mesi a vederli tutti, nessuno escluso. Centomila morti in Italia, almeno tre o quattro congiunti stretti a testa per ogni defunto, e i conti sono presto fatti. I positivi totali, quelli toccati in qualche modo dalla malattia sono 3 milioni e mezzo. Certo, è vero, non sono stati tutti provati fino al ricovero in ospedale però, per esempio, i colpiti dalla quarantena sono stati un’infinità. Infine, 300mila sono i posti di lavoro persi in un anno: e questi purtroppo sono dati precisi perché arrivano dal Ministero del Lavoro.
Noi 'piagati dalla pandemia' (mi devo necessariamente includere nell’elenco) nella nostra personalissima Via Crucis dovremmo soprattutto soffermarci sulle tre cadute di Gesù (nella distribuzione tradizionale sarebbero la terza, la settima e la nona stazione). Mi riferisco a quei tre momenti nei quali il Caduto sorge e risorge per poi, infine, Risorgere definitivamente. A ben vedere però quello sguardo – quel 'sostare' che è nell’etimologia della ' statio' – riguarda un po’ tutti. Nella conta dei 'piagati dalla pandemia' sono stato generico un po’ per forza di cose, un po’ perché in questa mia riflessione sulle persone ferite dal Covid vorrei parlare anche della tanta morte invisibile che la malattia globale ha causato: di quelle ferite che per essere nascoste, non dichiarate, sono subdole perché, non destando preoccupazione, non facendo scattare l’allarme, non ci consentono le difese. Sto parlando di tutto quel vivere che riduciamo a mero esistere per non essere costretti a morire. Queste ferite sì che nessun Ministero, né del Lavoro né della Salute, potrai mai contabilizzarle. Ci sono cuori che smettono di battere per il Covid e ci sono cuori che semplicemente si rarefanno, si allontanano gli uni dagli altri. È giusto evitare assembramenti, ma dovremmo approntare dei rimedi perché rimanga chiaro che questo oggettivo estraniarsi dei nostri corpi divenga una parentesi infelice, anche se obbligatoria, della nostra storia.
Qualcosa da non ripetere più. Fateci caso. Abbiamo imparato a parlare di distanziamento impedendoci di pensare che ogni presa di distanza è un allontanamento dagli altri, un congedo, un addio. È stato possibile rendere le nostre relazioni 'ossute' più che magre, grazie a un uso imponente degli smartphone, oggetti che erano nati per aumentare la nostra vita con gli altri e che ora invece sono bisturi che ce la fanno sintetizzare in ambienti igienizzati. Mettiamo a tema in questa Settimana Santa di 'zona rossa' che le ferite più profonde, quelle che metteremo più tempo a curare, sono quelle derivanti dall’aver imparato a vivere prescindendo dalla presenza, nostra e altrui, dei nostri corpi. Andare a scuola rimanendo a casa non è andare a scuola. Così come lavorare senza incontrarsi non è lavorare, né fidanzarsi senza abbracciarsi, né guardarsi in faccia avendo naso e bocca nascosti dalla mascherina. Esiste nell’arcipelago artico delle Isole Svalbard (Norvegia) lo Svalbard Global Seed Vault, una banca dei semi che racchiude le sementi di tutto il mondo. Il mio augurio è che questa Settimana Santa, guardando Gesù che cade, sorge e Risorge, anche noi elaboriamo il lutto delle ferite che il Covid ci ha inferto e decidiamo di costruire il nostro Vault. Di tutte le ferite però, non solo di quelle visibili. Consideriamo anche le fratture alle nostre presenze.