Giornata. Noi, discepoli e missionari: la Parola e le opere di cui il mondo ha bisogno
Parlare di Gesù Cristo, della Chiesa o del Regno di Dio, oggi non è facile. Come scriveva Tertulliano, alla fine del secondo secolo, «cristiani non si nasce, ma si diventa». Vi sono, infatti, forme di resistenza e di pregiudizio che non andrebbero sottovalutate. Eppure, per quanto sia evidente il deficit di testimonianza nei comportamenti quotidiani, in parte, per l’immobilismo di alcune tradizionali agenzie educative – dalla scuola alla famiglia, passando per le nostre stesse comunità cristiane – vi è davvero un bisogno impellente di promuovere un sussulto di missionarietà. Il cristianesimo, di fatto, non può ridursi a un algido compendio di leggi, leggine e dottrine, ma è innanzitutto e soprattutto un’esperienza di vita che si traduce nella testimonianza e nell’annuncio della Buona Notizia. Ecco perché lo slogan "Testimoni e Profeti", scelto per l’odierna Giornata missionaria mondiale dalle Pontificie Opere Missionarie, rappresentate in Italia dalla Fondazione Missio, recepisce quest’istanza.
Papa Francesco, nell’incipit della sua tradizionale missiva per la Gmm ha scritto a chiare lettere che «quando sperimentiamo la forza dell’amore di Dio, quando riconosciamo la sua presenza di Padre nella nostra vita personale e comunitaria, non possiamo fare a meno di annunciare e condividere ciò che abbiamo visto e ascoltato». Di fronte ai drammi del nostro tempo – basti pensare alle tante tragedie che si consumano nelle periferie del mondo, dall’Afghanistan alla Somalia, dal Sud Sudan allo Yemen; per non parlare della questione migratoria – non è lecito stare alla finestra a guardare. Infatti, come sottolinea ancora il Papa: «Tutto in Cristo ci ricorda che il mondo in cui viviamo e il suo bisogno di redenzione non gli sono estranei e ci chiama anche a sentirci parte attiva di questa missione: "Andate ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli" (Mt 22,9). Nessuno è estraneo, nessuno può sentirsi estraneo o lontano rispetto a questo amore di compassione».
Il tema scelto da Francesco per celebrare questa giornata ad gentes – «Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20) – la dice lunga: «È un invito a ciascuno di noi – scrive il Papa – a "farci carico" e a far conoscere ciò che portiamo nel cuore». Questo movimento, nello spazio e nel tempo, non può però prescindere, nel pensiero del pontefice, dalla conversione del cuore, dal bene condiviso, dalla pace, dalla giustizia, dalla riconciliazione, dal rispetto del creato. Un indirizzo che continua e approfondisce il magistero dei suoi predecessori. Ecco perché, come battezzati, siamo tutti chiamati a una decisa assunzione di responsabilità. A questo proposito, il Papa ha ribadito un’urgenza che aveva già espresso in altre circostanze: «Nel contesto attuale c’è bisogno urgente di missionari di speranza che, unti dal Signore, siano capaci di ricordare profeticamente che nessuno si salva da solo».
Si tratta di un questione scottante guardando alla nostra realtà italiana, sintomatica di un malessere che andrebbe seriamente diagnosticato. Negli anni Novanta del Novecento, i missionari e le missionarie italiani erano circa 24mila tra preti fidei donum, religiosi e religiose, membri di società di vita apostolica, laici e laiche. Oggi sono circa 6mila, e molti, anagraficamente parlando, avanti negli anni. In passato, una pastorale di "conservazione" o di "mantenimento", nella cornice di una Civitas Christiana rendeva per certi versi le cose più semplici, non foss’altro perché (quasi) nessuno aveva l’ardire di esprimere giudizi temerari nei confronti del Papa e della Chiesa. Ma oggi quella Civitas rimane impressa, in molti casi, nella memoria degli anziani o sui muri delle cattedrali, ma non necessariamente nei comportamenti della gente e di non pochi tra coloro che si dicono credenti. L’unico vero antidoto a questa scristianizzazione (e disumanizzazione) per papa Francesco è che l’amore compassionevole di Cristo «risvegli anche il nostro cuore e ci renda tutti discepoli missionari».
Il cammino sinodale intrapreso dalla Chiesa italiana rappresenta l’occasione giusta per passare dalle parole, dai buoni propositi, all’azione pratica di fede e di carità.