Il direttore risponde. «Noi, che non ascoltiamo più i pianti» Lei lo fa e agisce. Tutti lo possiamo
Gentile direttore,
nelle ultime settimane eventi tragici hanno coinvolto minori e donne nella nostra terra bergamasca. Incredulità, sgomento e dolore sono stati i nostri sentimenti. Inutile chiedersi il “perché” o cercare cause del mal du vivre, che può attraversare anche il cuore di adolescenti o giovani donne. C’è in tutto quello che è accaduto la sofferenza e la gioia, il dolore e la felicità, la serenità e l’angoscia nella vita di noi esseri umani. In forme e tempi diversi, tutti provano questi sentimenti o vivono situazioni drammatiche o felici. Dobbiamo convivere con fatiche e gioie, dolori e fugaci serenità. Ma una cosa non riesco ad accettare: sembra che non possiamo più piangere. Non abbiamo tempi, spazi, persone che restino accanto al dolore, alla sofferenza, alle fatiche, alle lacrime.
Il dolore è come rimosso, confinato, nascosto. Dobbiamo stare bene sempre, con i famigliari, gli amici, i preti, e persino con i dottori. Dico questo perché sono medico pediatra. Talvolta basta un “Signora, la vedo un po’ stanca” per far riempire di lacrime gli occhi di una mamma, per ascoltare storie di dolore, celate per pudore o timore. Siamo diventati frettolosi anche noi medici, spesso burocrati o tecnocrati, perdendo d’umanità. Succede poi che le chiese siano talvolta chiuse di giorno, sempre di sera, e non accolgono le fatiche della giornata dei lavoratori o dei giovani. I preti con i quali sedersi accanto, raccontando i propri dolori sono rari. I medici – e mi ci metto nel gruppo – che abbiano tempo e pazienza per ascoltare le paure, i dolori sono spesso stanchi e demotivati.
Rari pure gli amici con i quali aprire il cuore per mostrarsi fragili e vulnerabili. Risicato lo spazio d’ascolto dei nonni depositari di esperienza e saggezza. Non abbiamo più tempo e luogo per rientrare in noi stessi e ricercare la Verità, come suggeriva S. Agostino. Nel discorso al sacrario di Redipuglia il Papa ha terminato dicendo: «Fratelli, l’umanità ha bisogno di piangere e questa è l’ora del pianto». Qualche anno fa, la poetessa Alda Merini, riflettendo sui problemi dell’Italia scrisse: «In Italia si canta, ma non si vedono le lacrime degli italiani: si canta – forse – per stordirsi. È così importante invece, non dimenticare il pianto sotterraneo della gente». E per noi, che vorremmo essere cristiani, il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer scrisse una poesia/preghiera “Cristiani e Pagani”, veramente illuminante. In pochi versi descrisse chi sono i veri cristiani: coloro che stanno vicino a Dio nella sua sofferenza, che tradotto per noi uomini del terzo millennio, forse vuol dire, stare accanto alla sofferenza di coloro che velano l’immagine di Cristo, come ci insegna Papa Francesco.
Mi scusi Direttore per il lungo scritto, ma servono parole per dirle e dirci che ognuno di noi può stare accanto alla sofferenza, in modi e tempi specifici per ciascuno. Deve stare accanto al dolore per non perdere di umanità. Stare accanto alle malattie per aiutare chi soffre nel corpo e nell’anima. Stare accanto e lasciare spazio al pianto. Perché il dolore per essere espresso e consolato deve trovare spazio e tempi in questa società frettolosa e superficiale. Non debba più succedere che accanto a noi, giovani, donne o anziani, cadano nel buco nero della depressione, nel grigiore dell’isolamento o nella cupa tristezza della solitudine, perché nessuno li ha accolti con il loro pianto. Ascoltando i dolori, siamo concretamente umani e forse è in questo modo, che diventiamo semplicemente cristiani.
Elisabetta Musitelli, Zogno (Bg)