L'udienza alla Sistina . Noi artisti, un corpo solo, felici per un anticipo di eternità
Mille storie diverse all’udienza del Papa per un miracolo di condivisione. La Cappella Sistina stillava identità negli sguardi di coloro che vi erano radunati da tutto il mondo per un evento eccezionale, unico, caleidoscopio di personalità che plasmano il contemporaneo per come sarà ricordato, pulsante di energie multicolori. Il dramma collettivo che attraversa per l'eternità i corpi del diluvio universale aveva in noi il suo doppio in carne e ossa. L'arte ha il suo innesco nell'individuale di cui è vettore e tangenza, trionfo di singolarità, strada complicata e meravigliosa, metafora di fede, prodigio incomprensibile a portata di mano.
Veramente tanto venerdì, in quel luogo incredibile, da far venire i brividi. Poi Issei Watanabe ha dato voce a Bach e tutte le vibrazioni si sono via via armonizzate una nell'altra, tutti a respirare di un respiro comune. Mutazione irresistibile mano a mano che l'interludio svolgeva i timbri della nostalgia che ci accompagna dalla nascita, carezza al nostro desiderio inestinguibile. Tutti, e più diversi di diversità incoercibili non posso immaginarli, siamo diventati un solo corpo. A perfezionare la trasformazione con tutta la forza della sofferenza e il crisma di chi ha tracciato la strada nuova della Chiesa, nei gesti semplici, nella sacralità del quotidiano eredità di Borges e promessa di riscatto per l'umanità dimenticata, è arrivato papa Bergoglio, dalla fine del mondo per compiere il miracolo. Metamorfosi di Bach nella parola che ha compiuto il corpo unico di anime distinte.
Venerdì mattina alla Sistina, abbracciato dal conforto sorridente del cardinale Tolentino, è avvenuto il prodigio: l'ego si è dissolto, il coccodrillo senza più lacrime, artisti, commessi, assistenti, tecnici, indipendentemente da ruoli, palmares del mondo, siamo stati uno. Come bambini abbiamo attraversato la novità, a noi farne tesoro di ironia e scelta, a noi farne memoria nella carne dell'esistenza quotidiana dove i veri miracoli accadono se non siamo chiusi alla relazione, alla novità sempre pronta a rapirci, qualunque opera, tutte definitive, tutte unicamente tese alla meta di un mistero che non è di questa terra ma cui possiamo dar corpo, a volte, nel simbolo, incidenti occasionali del destino che comprende tutti e tutti spera.
Non è mio o tuo, è di tutti noi, quel corpo unico che ho visto materializzarsi sotto lo sguardo austero e materno delle sibille che ricordano ai profeti il loro fato e la loro impronta, non di consenso ma di persecuzione e indifferenza che solo la gioia perenne del corpo unico, la sua memoria, può superare con piede lieve e sguardo alla meta. L'applauso finale ha decretato il termine di una esperienza troppo totale per questa vita, tesoro che può cambiare le esistenze, qualunque gesto, artisti siamo per incidente, il miracolo è li che, paziente, attende partecipazione, la nostra.
Il vin d'honneur ha salutato la ricomposizione degli ego, come è naturale, come è giusto, alcuni più rapidi, alcuni resistenti alla comunione che ci ha colto di sorpresa nel bel mezzo del diluvio, testimone insolito e incuriosito. Anche i dannati, quelli più in basso del basso, sembravano aver trovato tregua e speranza, anche loro evaporati nell'unità mirabile che ha abitato quel luogo straordinario per qualche istante. Un corpo unico di mille membra e mille storie. Nulla perso, nulla da ritrovare, tutto sempre attuale nel prodigio che ci accompagna dal primo respiro alla eternità, se solo siamo disponibili. Grazie papa Bergoglio, grazie a tutti voi con cui sono stato uno per un momento, speranza, anticipo di eternità presente.