Denis Mukwege, Floribert Bwana Chua. Nobel e altari, due luci accese per il Congo
Caro direttore,
in questo dicembre 2018 due eventi fuori dall’ordinario hanno acceso i riflettori su una terra spesso dimenticata: la Repubblica Democratica del Congo (proprio domani chiamata alle urne). Lunedì 10 dicembre a Oslo il ginecologo Denis Mukwege, specializzato nella cura delle conseguenze dello stupro, ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace. E la domenica precedente, 9 dicembre, a Goma il giovane doganiere Floribert Bwana Chua, ucciso per non aver accettato di farsi corrompere, è stato dichiarato Servo di Dio, primo gradino per la canonizzazione. Due laici, due espressioni della resistenza al male che in Congo (e in Africa tutta) prende l’aspetto della violenza e della corruzione. Due luci accese per un Paese che ha vissuto l’inferno di una terribile guerra che fino a oggi, secondo le stime ufficiali, ha fatto più di 5 milioni di morti e che ancora provoca tragedie e strascichi ininterrotti. Due luci nel buio della nostra memoria che sovente paragona il Congo ad un buco nero della storia e della coscienza. Eppure in tale oscurità le due luci brillano e parlano a ciascuno di noi.
Floribert aveva 26 anni quando fu ucciso nel 2007. Membro della Comunità di Sant’Egidio del Kivu, si interessava di politica e società civile. Il suo lavoro era quello di responsabile del controllo merci alle dogane e faceva parte di una generazione che desidera ricostruire il proprio Paese dopo la devastazione di questi anni, pur con tutte le contraddizioni legate alla ricerca della pace, alla convivenza tra etnie, al rapporto con il potere. Floribert era un giovane contemporaneo, radicato ma anche globalizzato, e sapeva quanto fosse necessario battersi contro lo spirito del tempo, in particolare contro l’avidità e la corruzione, terribili flagelli per tutta l’Africa. Dalla sua esperienza ecclesiale aveva imparato l’amore per i poveri: partire dai più piccoli e dai bambini di strada, il modo migliore per capire come costruire un futuro senza esclusioni. E poi aveva imparato la gratuità, arma essenziale in un mondo travolto da una disperata avidità, dandosi una regola: non si è mai così poveri da non poter far qualcosa per qualcuno più povero di te.
Quando provarono a corromperlo, per far transitare dalla frontiera carichi di cibo avariato, lui non cedette. Gli offrirono più soldi ma non arretrò. Per questo dopo essere stato minacciato, fu rapito, brutalmente torturato e ucciso a soli 26 anni.
Anche Denis, medico di 63 anni, ha incontrato la terribile esperienza della guerra che gli ha cambiato la vita e ha dovuto fare i conti con un altro terribile lascito del conflitto: la violenza diffusa, frutto delle armi facili ma soprattutto di una convivenza civile divenuta ardua tra diffidenze, rancori e sospetto. Denis ha fondato nel 1998 un ospedale dove si curano le ferite da guerra per poi specializzarsi nella parte più fragile della popolazione: le donne, le bambine strappate 'nel corpo e nell’animo' da una cieca violenza. È divenuto, così, il massimo esperto mondiale della chirurgia dei danni da stupro e da violenza sessuale, terribile arma da guerra usata contro le popolazioni civili. Sono passate per il suo ospedale oltre 50mila donne. «Le mie pazienti - dice - sono come fazzoletti strappati: occorre riprendere filo per filo e riallacciarli».
La guerra in Congo è stata ed è soprattutto una guerra contro i civili. E ora continua: non solo negli scontri, ma anche nell’odio, nell’isolamento e nella stigmatizzazione delle vittime. Eppure nel suo ospedale la vita può ricominciare: «È incredibile - dice Denis - vedere queste persone sofferenti che riescono ancora a ringraziare Dio, che hanno la forza di lavorare. Mi chiedo anche come facciano a cantare quando fanno fatica a sopravvivere. Ma riescono ancora a farlo, e questo mi rende felice». Il suo discorso a Oslo è stato di grande impatto e si è concluso con la storia di Sarah che, distrutta da violenze di gruppo, incoraggiava i medici a non perdere la speranza. «Se una donna come Sarah non si arrende ha detto Denis - chi siamo noi per farlo?».
In una terra bagnata dal sangue e che ha sofferto in maniera inimmaginabile, per Denis e Floribert il male si è incarnato con l’apparenza di qualcosa che sembrava ormai abituale e scontato: tutti erano violenti, tutti erano corrotti. Entrambi hanno saputo reagire, riconoscendo il male, indicandolo per nome e, ben sapendo di rischiare, hanno deciso di resistere. Floribert è stato ucciso, Denis ha rischiato di esserlo. Entrano a far parte di quella schiera di resistenti che danno senso alla storia e la illuminano, anche se si tratta di una storia che i più considerano minore, perché storia di un Paese periferico e solo.
Guardando queste luci, è inevitabile chiedersi come sia possibile restare puliti in mezzo alla corruzione e alla violenza che dilagano perché 'così fan tutti'. La resurrezione del Congo, più in particolare del Kivu, passa per questo 'no' al male. Nel libro dedicato a Floribert (Francesco De Palma, 'Il prezzo di due mani pulite', Paoline), l’autore commenta: «Ha allargato la frontiera dell’umano in un mondo arido e spietato, ferito e umiliato, nell’Africa dei conflitti etnici e di un mercato senza regole». Non si potrebbe dire meglio. Queste due luci diventano il segno che un altro Congo è possibile, un’altra Africa e un altro mondo sono possibili.