È difficile seguire il caso Volkswagen senza provare un senso di sconcerto, e non solo per la paradossale constatazione che quando si tratta di essere maniacalmente precisi anche i tedeschi talvolta cedono alla tentazione di imbrogliare le carte. Il raggiro ordito per consentire a modelli con propulsore diesel di superare i severissimi test americani restando al di sotto della soglia di emissioni inquinanti mostra il volto di un’industria globale pronta a tutto per mantenere le posizioni sul mercato, alterando dati decisivi pur di salvare la propria buona fama 'ecologica'. Ma la manipolazione della casa di Wolfsburg è stata a tal punto goffa e plateale – si parla di dati reali che superano fino a 40 volte la soglia dichiarata – da indurre le autorità statunitensi a usare la massima severità, provocando una slavina che sgretola l’immagine di un’azienda sino a ieri sinonimo di granitica credibilità. Se il dato tecnico della vicenda è a fatica decifrabile dal cittadino comune – tra software truccati, ossidi di azoto in eccesso e giro d’affari del mercato automobilistico – a dar battaglia alla coscienza provvede invece l’incrocio di una vicenda sbalorditiva come questa con la quotidiana esperienza della realtà: un’occhiata alle nostre strade intasate di traffico è sufficiente infatti a domandarsi, senza ottenere una risposta realistica, quali ciclopici provvedimenti sarebbero necessari per ridurre in modo decisivo le sostanze inquinanti che ammorbano l’aria, insidiano la salute, alterano il clima e contribuiscono a strangolare il nostro fragile pianeta. È ovvio che la responsabilità del degrado ambientale non sia esclusivamente del traffico, neppure anzitutto dei propulsori a gasolio, e tantomeno delle sole auto griffate col logo teutonico VW. Ma proprio questa valutazione di buon senso svela il punto centrale di una questione essenzialmente etica, ben più ampia del solo dossier tecnologico ed economico sviscerato in questi giorni: c’è oggi qualcosa che ci è lecito considerare 'poco importante' quando in causa è la salute della Terra e la nostra? È inevitabile chiedersi quali conseguenze ambientali possano produrre, in fondo, le emissioni 'nascoste' di motori montati su alcuni modelli venduti negli
States, sebbene si parli di qualcosa come 500mila vetture. Ma la sottovalutazione di un solo comportamento superficiale se non ostile a quel bene di tutti che è l’aria da respirare – un dono da condividere e che non ci appartiene – è il segno di un’indifferenza che su scala globale non può che amplificarsi nel maltrattamento irresponsabile della casa di tutti, umiliata da una somma di sfregi: ciascuno in sé apparentemente irrilevante, tutti insieme potenzialmente letali. Considerare ininfluente una frazione in più o in meno di anidride carbonica liberata nell’atmosfera per effetto di modelli produttivi, stili di vita e abitudini di consumo replicati come se non fossimo liberi di cambiarli è il segnale della radicale incomprensione di ciò che il ventunesimo secolo mostra davanti ai nostri occhi: l’evidente corresponsabilità comune nel rendere accogliente per tutti un pianeta che mai come oggi comprendiamo condiviso, affidato alla combinazione delle nostre volontà, un bene che passa da una generazione a quella che la sta già seguendo. Gli atteggiamenti di sufficienza che spostano il cuore del problema perennemente 'da un’altra parte', senza mai mostrare esattamente dove, finiscono per alimentare il sospetto che non si voglia provvedere davvero a portare chiarezza e pulizia là dove abbiamo il potere di farlo: in noi stessi, nei nostri comportamenti, nelle scelte di ogni giorno, nella capacità di influire virtuosamente gli uni sugli altri. «Se guardiamo in modo superficiale – ammonisce paternamente il Papa nella
Laudato si’ – sembra che le cose non siano tanto gravi e che il pianeta potrebbe rimanere per molto tempo nelle condizioni attuali. Questo comportamento evasivo ci serve per mantenere i nostri stili di vita, di produzione e di consumo. È il modo in cui l’essere umano si arrangia per alimentare tutti i vizi autodistruttivi: cercando di non vederli, lottando per non riconoscerli, rimandando le decisioni importanti, facendo come se nulla fosse». Ben venga allora anche l’incredibile scivolone dei motori tedeschi se ci aiuta a smascherare, tra le tante, almeno questa ipocrisia.