Opinioni

Legge, umanità, consenso. Niente di buono quando lo scontro si fa esasperato

Mario Chiavario martedì 28 agosto 2018

Le espressioni provocatorie e il tono sprezzante usato dal vicepremier Salvini nei confronti dei magistrati che hanno aperto un procedimento contro di lui per sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio, sul piano morale possono persino sembrare poca cosa in rapporto ad altri atteggiamenti, divenuti abituali da parte di chi, pur essendo ormai tra i massimi rappresentanti delle istituzioni, parla di «pacchia» e di «crociere» per definire quelli che per molti esseri umani sono viaggi della morte, trovata o sfiorata.

Lo spirito però è lo stesso ed è davvero preoccupante per un’arroganza che ha poche analogie nel panorama del mondo politico di oggi, pur non esaltante nel suo complesso e non privo, un po’ dappertutto, di altri esempi di formali o sostanziali 'qui comando io, punto'. Molti si chiedono se il procuratore di Agrigento, nell’iscrivere Matteo Salvini come indagato di gravi reati in relazione a una vicenda in larghissima parte inedita, ha calcolato fino in fondo le conseguenze della sua iniziativa.

Molti altri rispondono che in Italia vige il principio di obbligatorietà dell’azione penale, il cui innesco, del resto, non equivale giuridicamente a una condanna anticipata, e che saranno poi i giudici competenti a giudicare della colpevolezza o meno del ministro dell’Interno: risposta ineccepibile, che non riesce però a tacitare le preoccupazioni, anche per via di una particolarità che questo caso presenta. Certo, i 'precedenti' più o meno stretti non mancano e viene da pensare, anzitutto, ai numerosi processi instaurati contro Silvio Berlusconi e conclusi con vario esito, di condanna, di assoluzione nel merito, di proscioglimento per prescrizione... E pure allora, si configuravano, come ritorsione, riforme della giustizia ben 'mirate'. Alla fine, il sistema democratico ha 'tenuto', sia pur con non poche crepe quanto a credibilità presso i cittadini.

Qui, c’è però un dato specifico, che colora in modo tutt’altro che tranquillizzante la prospettiva. Negli altri casi, in genere, ci sono stati, sì, parole di non minore disprezzo verso i rappresentanti dell’istituzione giudiziaria, associate a non meno roboanti rivendicazioni dell’investitura popolare come fonte di legittimazione idonea a tacitare qualunque iniziativa di questo o quel magistrato; tuttavia, i comportamenti illeciti addebitati, a torto o a ragione, all’indagato o imputato di turno, non implicavano, da parte della 'gente' chiamata a sostegno, una specifica condivisione: solo chi rientrava in determinate categorie di persone, come ad esempio imprenditori o manager, poteva sentirsi sollecitato a una solidarietà propriamente e interamente partecipativa; per il resto, veniva evocata soltanto quella, del tutto generica, dell’elettore, cui rimaneva estraneo entrare nel merito delle accuse, più o meno fondate, lanciate contro il leader messo sotto processo.

Qui è un’altra cosa. Qui sono proprio i comportamenti contestati dal pubblico ministero a essere rivendicati dal ministro come oggetto del consenso popolare. E, purtroppo, temo che non si sbagli del tutto, al di là dei cedimenti alla megalomania di quando giunge a inserire tra i sostenitori del 'cambiamento' da lui rappresentato addirittura l’intero insieme dei 60 milioni di italiani... In effetti, bisogna essere ciechi per non accorgersi che la politica della faccia feroce e della mano dura verso gli immigrati, con componenti ormai di vera xenofobia quando non di autentico razzismo, sta raccogliendo consensi.

Non è compito della Procura di Agrigento frenare gli eccessi che il ministro Salvini sembra ripromettersi di portare a conseguenze anche più drammatiche di quelle vissute dalle persone trattenute sulla 'Diciotti', né delle minacce che affiorano tra i suoi seguaci in Parlamento sull’'andare a prendere a casa' chi osa sfidarlo. Né, del resto, alcuno può dare per scontato l’esito del procedimento appena avviato, che dovrà comunque passare, se non ci sarà prima un’archiviazione, attraverso l’autorizzazione procedere del Senato di cui Salvini è membro, anche se il ministro, mostrando il petto come i martiri politici del Risorgimento, sembra aver preannunciato egli stesso la richiesta di un voto positivo. So, però, che l’esasperazione della contrapposizione tra legge (e umanità) e consenso popolare non potrà portare nulla di buono.

Lo tengano presente tutti: chi regge il timone del Paese, ma anche quegli esponenti delle forze di opposizione che poco o nulla hanno fatto per vaccinare le paure, enfatizzate ma non sempre infondate, della 'gente' che stanno alla base del consenso per parole e atti gravi di cui, prima di quanto si creda, tanti italiani prenderanno le distanze con dolore e vergogna.

Professore emerito di diritto processuale penale, Università di Torino