Il Quirinale, la decretazione d'urgenza, il caso Eluana. «Nessuna ombra sui poteri del Colle» Ma resta una ferita aperta
su Avvenire di ieri è apparso un articolo firmato da Marco Olivetti – "Quella sentenza fa storia (ma rafforza qualche dubbio)" – a commento della sentenza con la quale la Corte Costituzionale ha definito il conflitto di attribuzione tra la Presidenza della Repubblica e la Procura di Palermo, in cui l’autore sostiene fra l’altro che alcuni passaggi della sentenza potrebbero avallare interpretazioni estensive del ruolo del Capo dello Stato «chiamato talora a decidere in ultima istanza come correttore degli orientamenti del Governo e della sua maggioranza, ad esempio nell’adozione di decreti-legge».
Solo a questo proposito vorrei osservare che quanto affermato dall’articolista nulla ha a che vedere con il caso Englaro, riportato come esempio di tali possibili alterazioni nell’equilibrio dei poteri. Per una esatta ricostruzione di quella vicenda è sufficiente rifarsi alla lettera del 6 febbraio 2009 indirizzata al Presidente del Consiglio dei Ministri con la quale il Presidente Napolitano chiarì, con ampiezza di argomentazioni, le ragioni che gli impedivano di emanare un decreto-legge, non solo privo dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza richiesti dall’art. 77 della Costituzione, ma diretto in particolare a disattendere una decisione definitiva dell’autorità giudiziaria. Si sarebbe concretata in tal modo una evidente violazione proprio di quel principio della distinzione e del reciproco rispetto tra poteri e organi dello Stato che il Presidente della Repubblica è chiamato a far osservare come primo garante del corretto funzionamento delle istituzioni.
Del resto, numerosi erano già i precedenti analoghi – riportati nella stessa lettera – consistenti sia in formali dinieghi di emanazione di decreti-legge sia in espresse dichiarazioni di principio dei suoi predecessori, a conferma di come il Presidente Napolitano si sia sempre attenuto, anche in materia di emanazione di decretilegge, a prassi ampiamente consolidate.
Cordialmente
Pasquale CascellaApprofitto della lettera del consigliere Cascella per precisare il senso di un passaggio del mio articolo di ieri. Nel sintetizzare l’interpretazione del ruolo del Presidente della Repubblica contenuta nella sentenza n. 1 del 2013 della Corte costituzionale, imperniata sulla nozione di «magistratura di influenza e di impulso», e nell’esprimere condivisione rispetto ad essa, ho manifestato qualche dubbio sulla compatibilità con tale lettura – che mi pare sottolinei la dimensione «persuasiva» e «comunicativa» del ruolo del Capo dello Stato, rispetto a quella che fa leva su suoi poteri di «decisione di merito» – di alcune scelte compiute in passato dall’attuale Presidente della Repubblica. In particolare, continuo a essere perplesso – anche dopo l’ennesima rilettura della lettera del Presidente della Repubblica del 6 febbraio 2009 – sulla conformità a Costituzione di un rifiuto assoluto di emanazione, da parte del Capo dello Stato, di un decreto-legge deliberato dal Governo. E ciò almeno per tre ragioni. In primo luogo – e qui sta il nesso con la sentenza n. 1 del 2013 – la potestà del Presidente di rifiutare l’emanazione di un decreto-legge ne fa un decisore di ultima istanza, mentre la Costituzione gli conferisce solo su specifiche questioni tale ruolo (si pensi allo scioglimento delle Camere o alla nomina del Presidente del Consiglio) e mai in solitudine, ma sempre con la controfirma del governo, che assume la responsabilità politica dell’atto. Ben avrebbe potuto il Presidente della Repubblica chiedere al Consiglio dei ministri una nuova deliberazione sul decreto-legge del febbraio 2009, ma, qualora l’esecutivo avesse insistito, a esso doveva essere lasciata l’ultima parola. Del resto è sotto la responsabilità del governo – e non del Capo dello Stato – che il decreto-legge viene adottato, secondo la lettera dell’art. 77 della Costituzione. In secondo luogo, i precedenti invocati dal Presidente della Repubblica nella sua lettera del 9 febbraio 2009 sono quasi tutti assai dubbi e si riferiscono proprio a casi in cui il Capo dello Stato chiese al governo di rivedere la sua decisione, riuscendo a 'persuadere' l’esecutivo. Ma quello del febbraio 2009 era il primo caso di un rifiuto assoluto di emanazione, o almeno è l’unico caso in cui il rifiuto si è manifestato in forma chiara ed esplicita, senza le ambiguità che avevano accompagnato gli altri casi. In terzo luogo, a differenza del consigliere Cascella e in linea con altre valutazioni, ritengo che il decreto-legge del febbraio 2009 fosse destinato a salvaguardare beni costituzionali di valore primario, vale a dire il diritto indisponibile alla vita (a fronte di una sentenza che ne aveva determinato la disponibilità sulla base del criterio della volontà presunta). Ma non è questo il punto: una eventuale incostituzionalità del decreto, qualora esso fosse stato emanato, avrebbe ben potuto essere dichiarata dalla Corte costituzionale, cui la questione sarebbe certamente stata sottoposta in un giudizio in via incidentale, e prima ancora dal Parlamento, in sede di conversione del decreto-legge in legge. Ma questa decisione (ribadisco, la decisione finale) non spettava – a mio avviso e ad avviso di altri che, più volte, lo hanno scritto su queste colonne – al Capo dello Stato. E ciò non solo su questioni di vita o di morte, ma anche se la controversia avesse riguardato la disciplina della produzione e commercializzazione degli oli minerali. Resta il fatto, e anche l’attuale Capo dello Stato lo ha rimarcato in diverse occasioni, che è certamente deprecabile l’abuso del decreto-legge da parte di molti dei governi succedutisi negli ultimi venti anni. E ciò è vero anche con riferimento al caso Englaro, nel quale il governo dell’epoca avrebbe ben potuto intervenire con maggiore tempismo, evitando di operare di corsa, nel contesto drammatico di quei giorni di febbraio di quattro anni fa. Ma mi pare davvero difficile negare che in quel caso l’urgenza sussistesse, come la morte di Eluana ha purtroppo dimostrato.
Cordiali saluti
Marco Olivetti
Ordinario di Diritto Costituzionale nell’Università di Foggia