Opinioni

Botta e risposta. Nelle parrocchie senza prete la «ricchezza» dei diaconi permanenti

Giacomo Gambassi giovedì 20 luglio 2023

Gentile Direttore,
ho letto con interesse l’articolo di G. Gambassi “Se la parrocchia rimane senza prete. I piccoli paesi, laboratori di missione” di lunedì 26 giugno, rimbalzato poi su Facebook poiché condiviso da molti. Mi colpisce una cosa: non si fa minimamente accenno al ministero del diaconato nella sua forma stabile e permanente. È vero: il diaconato non è in sostituzione del presbiterato e non supplisce a nessuno. Presbiterato e diaconato sono due ministeri ordinati completamente diversi per vocazione e ministero che condividono col vescovo che del sacramento dell’Ordine ha la pienezza; condividono appunto con compiti diversi. Il ministero del diacono che, voluto come sacramento dal Signore, ha il compito di ricordare al vescovo e al presbitero che sono a servizio di una Chiesa e non viceversa, è un ministero liquido che si adatta cioè a tutte le situazioni in cui il diacono – sposato o no – è inviato dal vescovo . Il suo compito è di rendere presente Il Signore che si è fatto servo; che è venuto per servire, che sta in mezzo a noi come colui che serve, ed il diacono lo fa partecipando pienamente dei Tria Munera che sono propri del Vescovo ossia il compito dell’annuncio ( Munus Docendi LG 25), della liturgia ( Munus Sanctificandi LG 26) e della guida ( Munus Regendi LG 27). Proprio perché il diacono lavora per mantenere la sua famiglia, ha colleghi, conosce gli amici dei figli, sa cosa vuol dire gestire una famiglia e si dedica anche al ministero, proprio per questo è in grado di guidare una parrocchia rimasta senza presbitero, non come sostituto del presbitero, ma con il ministero che gli è proprio, declericalizzando un poco la struttura parrocchiale, trasformandola in una diaconia. Il diacono presiede la liturgia della Parola tenendo l’omelia e distribuendo il Corpo del Signore, amministra il battesimo come ministro ordinario, presiede il rito nuziale su delega del parroco, presiede il rito funebre come ministro ordinario; incontra e ascolta le persone, è un uomo che amministra la carità e la suscita attraverso il suo ministero negli altri attraverso vari servizi. Neanche una parola su questa figura ministeriale, reintrodotta dal Concilio Vaticano II e che sembra far ancora tanta paura ... a presbiteri e a vescovi: forse perché i diaconi sono sposati? Chi le scrive è un diacono celibe da 38 anni: ha vissuto per 18 anni tra barboni, ladri e prostitute gestendo la Casa di carità del patriarca Marco Cè a Venezia; per 9 anni nella segreteria del patriarca Scola a Venezia, 3 anni in missione in Bolivia gestendo una immensa parrocchia nella foresta, ed ora in una parrocchia di campagna della nostra diocesi. In Italia e a Roma, sono molte le parrocchie affidate ai diaconi perché allora nessun cenno nell’articolo di Gambassi? La saluto e la ringrazio per l’attenzione.

Diacono Tiziano Scatto

Egregio diacono Scatto, le rispondo su gentile indicazione del direttore. La ringrazio per l’attenzione con cui ha letto l’articolo sulle piccole parrocchie che sono (o rischiano di rimanere) senza parroco. Come specificato nell’articolo, sarebbe meglio dire «senza un parroco residente» che in sempre più casi, soprattutto quando si tratta di paesini o borghi di montagna ma anche di pianura, è condiviso fra varie comunità: si può arrivare preti impegnati in cinque, sei, sette, otto chiese. È vero che nell’articolo da lei citato e in quelli dei giorni successivi sullo stesso tema non si fa riferimento al tesoro dei diaconi permanenti a cui, grazie ad alcuni progetti “pilota” (se così possiamo definirli), è stata affidata la cura pastorale di parrocchie in grandi città o piccoli centri. Anzi, nelle Linee guida appena pubblicate dalla Cei sul Cammino sinodale si evidenzia che «va approfondita» questa «possibilità» per «l’amministrazione di parrocchie prive di parroco residente». La lacuna è dovuta allo spunto degli articoli: la Settimana nazionale di aggiornamento pastorale a Lucca. Nelle giornate di studio e poi nella “Lettera alla parrocchia” che ha sintetizzato i lavori, si è scelto di riflettere sul ruolo del laicato come risposta alla mancanza del prete “fisso” o al pericolo della chiesa serrata. Con un invito a considerarsi Chiesa anche quando si è un ridottissimo gruppo di famiglie, anziani, bambini: magari dieci o venti, in un abitato delle aree interne a cui i vescovi italiani stanno dedicando una particolare e urgente attenzione perché non siano dimenticate e abbandonate. Chi le abita, benché siano pochi, è chiamato a tenere viva la comunità cristiana se il prete non può garantire una presenza costante e talvolta neppure la Messa: è la sfida missionaria lanciata dalla Settimana. Rimane una domanda: quanti sono i diaconi permanenti che risiedono stabilmente in un minuscolo centro e quindi possono “tenere aperta” la parrocchia? Sicuramente il diacono permanente può affiancare il parroco distante, mettersi a servizio delle parrocchie “sperdute” su incarico del vescovo facendo la spola, presiedere alcune specifiche liturgie. È una ricchezza per la Chiesa locale, un’eredità del Vaticano II, un dono per le comunità. Ed è una vocazione da valorizzare sempre di più. Magari facendola crescere anche numericamente in un’Italia dove la Chiesa fa, sì, un po’ di fatica ma dove non ha alcuna intenzione di chiudere le sue chiese che restano l’“antica fontana del villaggio”, secondo l’intuizione di Giovanni XXIII.