Opinioni

Il libro. La teologia e la prassi dell’abbraccio

Matteo Maria Zuppi martedì 7 dicembre 2021

Esce in questi giorni per i tipi di Marcianum Press un libro di Massimo Naro – sacerdote, docente di teologia sistematica nella Facoltà Teologica di Sicilia a Palermo – intitolato “Protagonista è l’abbraccio. Temi teologici nel magistero di Francesco”, che evidenzia le chiavi di lettura tramite cui papa Bergoglio interpreta il mondo odierno, il «cambio d’epoca» – come lo chiama – in cui siamo immersi e del quale dobbiamo essere protagonisti, nonché le sfide più urgenti (e anche promettenti) sia per la riflessione teologica sia per la prassi pastorale, oltre che per il dialogo tra credenti e laici. L’articolo che pubblichiamo in questa pagina è tratto dalla prefazione al volume dell’arcivescovo di Bologna, cardinale Matteo Maria Zuppi.


Protagonista è l’abbraccio. Come? Qualcuno è convinto – rivelando le preoccupazioni del fratello maggiore nella parabola evangelica che è proprio l’icona della teologia “dell’abbraccio” – che questa sia in realtà una ingenua e pericolosa visione sentimentale, che mette in discussione l’identità stessa della casa perché giustifica chi viola apertamente le regole e quindi le svuota di significato. Non è troppo “semplice” parlare di abbraccio quando siamo chiamati a misurarci con la complessità della storia, nella quale la fragile barca di Pietro è esposta come non mai alla durezza delle onde? Massimo Naro [nelle pagine del suo libro] ci aiuta a capire l’insieme della riflessione di Francesco e della teologia – non meno della prassi – dell’abbraccio.

Conosciamo il vocabolario del Papa, che è entrato nel linguaggio comune del mondo laico (ed era da tempo che non avveniva, anzi spesso eravamo prigionieri di un “ecclesialese” che pensavamo spiegasse tutto e in realtà ci rendeva incomprensibili a tutti). «Chiesa madre e pastora, popolo fedele di Dio, spiritualità popolare, misericordia, tentazioni ecclesiali, neopelagianesimo e neo-gnosticismo, riforma, sinodalità e sinodo, gioia del vangelo, letizia dell’amore, gaudio della verità, processi da avviare, periferie esistenziali, umanesimo solidale, ecologia integrale, interconnessione e interdipendenza, dialogo, relazione, fraternità e fratellanza, ecologia integrale», sintetizza Naro. A questo aggiungerei «io e noi», «ponti piuttosto che muri», «siamo sulla stessa barca», «ci si salva solo insieme», «la casa comune», «il tutto è superiore alla parte» o «il tempo è superiore allo spazio » e gli altri princìpi primi spiegati in Evangelii gaudium. La sintesi, però, è sempre l’abbraccio, (...) immagine che è in realtà molto più di un programma, in quanto inizio e conclusione di tutto. Saremo una cosa sola. In esso si rivela e si misura tutta la profondità teologica e pastorale delle intuizioni del Papa. Non riflessioni per laboratori di simulazioni pastorali o di prove tecniche teoriche, a volte ideologiche (i famigerati «piani di conquista di generali sempre sconfitti»), bensì una teologia che è quella di sempre, sebbene accetti il rischio di misurarsi con la realtà di oggi, con le sfide poste dall’uomo digitale e medicalizzato, individuo isolato e comunque desideroso di senso, di futuro, di bello.

La fine della cristianità non è la fine del cristianesimo. Spogliata di orpelli la Chiesa può riprendere cammino per andare incontro ai tanti che cercano una casa

La tradizione è ben diversa dalla caricatura museale o parossistica di cui alcuni epigoni si credono difensori, credendo esserne rappresentativi. La tradizione è comunicare la verità di sempre nell’oggi. Non è conservare o estrarre una verità pura fuori dal mondo, ma applicarla interpretando le varie situazioni alla luce dei contenuti di sempre. La tradizione ecclesiale abita la riflessione teologica e pastorale di Francesco, a sua volta contestualizzata nell’oggi della Chiesa e del mondo. Certo, c’è chi ancora ama contrapporre tradizione e attualità, come se questa limitasse o contaminasse la purezza della dottrina piegandola alle urgenze da affrontare pastoralmente. L’ortodossia e l’ortoprassi non sono contrapposte. Non è possibile una vera ortodossia senza un’adeguata e credibile ortoprassi o viceversa. In realtà esse sono garanzia l’una dell’altra. Del mondo ridotto a «ospedale da campo» (lo vediamo con crudezza nel tempo della pandemia) se ne rende conto solo chi ha occhi aperti dalla compassione, la quale permette di diventare consapevoli della fame della folla e di donare il pane per il corpo e per l’anima, legati l’una all’altro.

Francesco unisce nella sua riflessione molti adversa perché ci aiutano a diligere la verità del Vangelo, dell’amore che Cristo ci ha affidato affinché raggiungesse gli estremi confini della terra. Tutto ciò che lo sciupa, lo vanifica, lo rende senza sapore, lo allontana da questo mandato è stigmatizzato nella riflessione del Papa, a volte con ironia, perché con le porte chiuse si ammala anche la teologia. Massimo Naro, con l’attenzione propria di un teologo innamorato della Chiesa e del mondo, nonché con la libertà e con il rigore della sua ricerca, ci aiuta a comprendere lo spessore teologico e pastorale per ogni persona della grande folla che è destinataria di quell’abbraccio. Con accuratezza ci aiuta a conoscere i vari aspetti della teologia e della pastorale di papa Francesco, comunicandoci la passione per abbracciare, per non avere paura di farlo, per evitare che diventi un freddo cliché, per comprendere la ricchezza che l’abbraccio stesso esprime. Si tratta di allargare le braccia, non di tenerle conserte, ad aspettare che un altro faccia il primo passo, o di verificare tutte le condizioni necessarie, o di spiegare prima la verità come se questa fosse altra cosa da quel gesto che la esprime e le conferisce concretezza esistenziale. Questo aiuta a comprendere i vari e differenti significati di questo abbraccio che si protende verso tanti scartati e verso tante situazioni di sofferenza.

Il libro di don Massimo Naro, «Protagonista è l’abbraccio. Temi teologici nel magistero di Francesco» (Marcianum Press) - Marcianum Press

Anche la Chiesa è chiamata a sperimentare l’abbraccio. Se riesce a farlo, non smette certo di essere maestra, non perde la sua grandezza, spesso purtroppo fraintesa quasi fosse estraneità o, peggio, curiosamente, mondanità. La Chiesa è madre e non teoricamente, sociologicamente, ma in maniera affettiva, personale, con una carità “esagerata”, toccando il cuore di quei tanti figli che le sono affidati e che sente suoi sempre, forse ancor di più quando sono lontani. E una madre che li sente suoi non ha paura di incontrarli, non teme di perdere sé stessa. Tutti sono il soggetto dell’abbraccio.

Non è possibile una vera ortodossia senza una credibile ortoprassi: esse sono garanzia l’una dell’altra. Don Massimo Naro elenca le sfide per un dialogo tra credenti e laici

La fine della cristianità è una affermazione recente nella sua chiarezza, avvertita da pastori attenti e teologi lucidi già da più di ottanta anni, molto prima del Vaticano II come, solo per indicare alcuni esempi, certe acute riflessioni di Romano Guardini o la contemplazione del sacro nella laicità della squallida banlieue parigina di Madeleine Delbrêl o le lacrime che rigano il volto del cardinale di Parigi descritto da Cesbron in I santi vanno all’inferno, il quale andava «nella sua piccola automobile nera, triste e fuori moda, attraverso i sobborghi di Parigi e con il viso contro il vetro, le mani giunte e il cuore stretto passava lentamente in mezzo a quel popolo». Anche don Mazzolari parlava dei e ai lontani. E insegnava a non condannarli, ma a capire la loro condizione e a interrogarci sulle nostre responsabilità e su come quella lontananza esprimeva in realtà la richiesta di una Chiesa più evangelica e vicina. In realtà, la fine della cristianità non significa affatto la fine del cristianesimo e forse dovremmo dire che spogliata di orpelli e tuniche non richieste la Chiesa può riprendere il cammino per andare ad abbracciare i tanti che cercano una casa. Dobbiamo resettare gran parte dell’immaginario cristiano, perché solo così possiamo maturare una nuova autocoscienza capace di esprimere la nostra realtà e riconoscere i tanti frutti che pure ci sono donati da un seme che è sempre generativo di vita.

C’è da mettere in conto l’incertezza di questa transizione, indubbiamente fine di un’epoca. Attenzione però – come suggeriva già Giovanni XXIII e come torna ad avvertirci Francesco – a confrontare questi tempi con i secoli passati, come si limitano a fare i profeti di sventura. C’è da cogliere la sfida, da sentirci interrogati, non inquietati. Nella teologia di papa Francesco la verità e l’amore coincidono e non sono scindibili. L’abbraccio ne è il risultato e la premessa. Guai a contrapporli. Bisogna far maturare la consapevolezza d’essere nel mondo, cercare le categorie culturali ed esistenziali per non chiudersi in sé ed essere lievito per tutta la pasta.

Cardinale arcivescovo di Bologna