Opinioni

Roma Felix/3. Nelle fondamenta della Chiesa la certezza della tomba di Pietro

Stefania Falasca sabato 3 agosto 2024

La tomba dell’apostolo Pietro sotto la basilica vaticana

In vista del Giubileo, ogni due settimane una nuova tappa di un itinerario attraverso i luoghi della memoria cristiana a Roma. La Città Eterna felice e fortunata per la grazia della permanenza e del martirio di Pietro, il Principe degli apostoli, e di Paolo, l’Apostolo delle genti. Quello che qui si propone è un percorso che segue il filo d’oro attraverso le vie regine di Roma, le sue case e le sue basiliche, i suoi vicoli disseminati di osterie e madonnelle, i suoi santuari, storie di persecuzioni e sorprendenti conversioni, con l’obiettivo di aiutare i “romei” di oggi a trarre dalla visita “ad Petri sedem” conforto e conoscenza della vita per la quale è vera l’immagine dantesca della «Roma onde Cristo è romano». Un aiuto a guardare le tracce che, nel tempo, sono rimaste, talvolta quasi impercettibili o nascoste, a testimoniare la vita di una storia di grazia che entra nella storia.

Hic est Petrus. Il Pescatore di Galilea, colui al quale è legato il primato della Chiesa di Roma e del suo vescovo, venne sepolto sul colle Vaticano, nei pressi del luogo della sua crocifissione. Lo storico Eusebio di Cesarea riporta nella sua Storia ecclesiastica la testimonianza di un dotto presbìtero di nome Gaio, il quale nel III secolo attesta la presenza del sepolcro dell’Apostolo sul Vaticano, e così afferma: « Io posso mostrarti i trofei degli Apostoli. Se vorrai recarti sul Vaticano o sulla via di Ostia, troverai i trofei dei coloro che fondarono questa Chiesa». L a primitiva tomba di Pietro, situata all’interno della vasta necropoli vaticana, era una modesta tomba tra le altre, scavata nella terra. Su di essa, nel II secolo, venne eretta un’edicola funeraria, nota, appunto, agli studiosi come “Trofeo di Gaio”. Nella prima metà del IV secolo, l’altare della imponente basilica costantiniana incorporò questa edicola. Sopra tale altare, papa Gregorio Magno (590-604) ne fece costruire un altro, poi Callisto (1119-1124) ne fece fare uno nuovo inglobando il precedente, fino a che Clemente VIII, nel 1594, vi sovrappose l’altare della Confessione attualmente in uso. Che la tomba del Principe degli Apostoli doveva trovarsi sotto l’altare con le colonne tortili del Bernini era dunque noto da sempre e il sovrapporsi degli altari dimostra l’ininterrotta continuità di culto fin dall’era apostolica. Ma tutte queste stratificazioni vennero alla luce solamente nel secolo scorso, insieme alla vasta necropoli di età imperiale.

Fu possibile grazie a un’iniziativa epocale, intrapresa vincendo un millenario timore reverenziale, a opera di Pio XII (1939-1958), il primo Pontefice nella storia della Chiesa a ordinare gli scavi sotto l’altare della Confessione. Nessun Papa per secoli aveva infatti osato pensare di avviare indagini sistematiche sotto la basilica perché, come scriveva Gregorio Magno all’imperatrice di Bisanzio nel 594, «sarebbe del tutto intollerabile e sacrilego se alcuno toccasse il corpo dell’Apostolo», facendo riferimento anche ai «castighi che Dio avrebbe inflitto a coloro che avessero osato fare qualche spostamento sulle tombe di Pietro, Paolo e Lorenzo a Roma». Si comprende allora la portata storica della decisione di Pio XII di intraprendere i lavori. Quegli scavi, che si protrassero dal 1940 al 1949, portarono al rinvenimento del luogo in cui fu sepolto Pietro, proprio sotto l’altare maggiore della basilica vaticana. Pio XII ne diede l’annuncio al mondo nel radiomessaggio natalizio a chiusura dell’anno giubilare del 1950, dando conferma così alla millenaria tradizione della Chiesa. Ma quegli scavi furono anche l’inizio di una nuova fase di indagini che, condotte dal 1952 al 1865, culminarono in un’altra grandiosa scoperta: il rinvenimento dei resti mortali, delle ossa dell’Apostolo eletto da Cristo a fondamento della Chiesa. Una vicenda che ha assunto, tuttavia, anche i contorni di un vero e proprio giallo archeologico.

La storia del loro ritrovamento e del successivo riconoscimento è opera della nota archeologa Marghe-rita Guarducci, al tempo titolare della cattedra di epigrafia greca all’Università La Sapienza di Roma, che nel 1956 venne incaricata da Pio XII di decifrare la parete del cosiddetto “muro G”, interamente ricoperta di graffiti, rinvenuta nel corso degli scavi vicino all’edicola funeraria del II secolo eretta sopra la tomba in terra di Pietro. Gli scavi degli anni Quaranta avevano infatti identificato la tomba ma questa era stata trovata vuota.

Avevano però anche rinvenuto quel muro, con un vano sottostante, e graffiti che attestavano in quel punto a partire dal III secolo una particolare venerazione. Le ricerche condussero a risultati importanti. Fu riconosciuto in modo inequivocabile il nome di Pietro ripetuto più volte e spesso congiunto al nome di Cristo e di Maria, come pure le lettere « PE» a formare una chiave, simbolo del detentore delle chiavi del Regno. Fu poi di particolare importanza il rinvenimento di un frammento di intonaco in corrispondenza del “muro G”, contenete l’espressione greca “ Petros eni” – Pietro è qui dentro – che a causa di anomalie nella conduzione degli scavi compiuti era stato rimosso.

Le scoperte portarono poi anche al successivo recupero delle ossa provenienti dal vano di quel muro, rimasto inviolato fino agli scavi, il cui esame paleografico e antropologico permise di dimostrare la loro identificazione. La ricostruzione storico-archeologica alla luce delle scoperte chiarisce anche il motivo per cui i resti dell’Apostolo si trovavano nel loculo del “muro G” e non nella primitiva tomba terragna. Nel 315, nel corso della costruzione della basilica, Costantino fece infatti trasferire le spoglie, avvolte in un drappo di porpora, circa due metri al di sopra della tomba originaria, nel loculo ricavato dallo spessore del “muro G” allo scopo di meglio preservarle dall’umidità. All’interno di quello stesso vano sono tutt’oggi presenti in alcuni contenitori di plexiglas i resti di Pietro riconosciuti come tali nel 1965 e lì riposti da Paolo VI.

Quando incontrai la professoressa Guarducci nel 1989 mi raccontò di come nel 1967 scese nella necropoli vaticana accompagnando, per volere di Paolo VI, Atenagora, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli. Ricordò che spiegando in greco moderno al Patriarca i risultati delle ricerche si chinarono insieme a leggere la parete di graffiti con i nomi di Cristo e Maria intrecciati a quelli di Pietro sulla parete del loculo dove erano stati rinvenuti i resti dell’Apostolo, e che Atenagora s’inginocchiò a terra commosso.

Il 26 giugno 1968 papa Montini, due giorni prima che si chiudesse l’Anno della Fede, durante l’udienza generale nella Basilica Vaticana annunciò alla Chiesa e al mondo l’autenticità attestata di quel ritrovamento. E ne ribadì l’importanza fino all’ultimo discorso del 28 giugno 1978 nel quale, proprio su quelle «superstiti reliquie», chiese di «rimanere saldamente fondati sulla fede di Pietro, ch’è la pietra della nostra fede ». Il nome di Margherita Guarducci non potrà che rimanere accanto alle «reliquie superstiti» del primo Papa. È al rigore scientifico e alla tenacia di questa grande studiosa che dobbiamo la scoperta dell’ubicazione esatta dove ab antiquo per secoli avevano riposato i resti mortali del Pescatore di Galilea e il riconoscimento della loro autenticità. E di questo la Chiesa intera le resta debitrice.

Il reliquiario contenente alcune di quelle ossa provenienti dal loculo del “muro G”, e conservato già da Paolo VI, venne esposto in Vaticano per la prima volta alla venerazione dei fedeli il 24 novembre 2013. L’evento è stato voluto da Francesco nel corso della celebrazione eucaristica a conclusione dell’Anno della Fede. In quell’occasione il Papa ha compiuto anche un altro gesto: è stato il primo Pontefice a scendere negli scavi della necropoli vaticana e ancora il primo poi, a memoria della Chiesa indivisa, a donare nel luglio del 2019 al fratello Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I un frammento di quelle reliquie. Il 1° aprile 2013, poco dopo la sua elezione, Francesco aveva voluto percorrere tutta la via centrale delle Grotte Vaticane fermandosi in preghiera nel luogo dove si trovano la tomba e le reliquie di Pietro. Le uniche, almeno finora, in tutto l’Occidente e l’Oriente sicuramente attestate di un apostolo di Cristo.