Non archiviare l’affido condiviso. Nella stanza dei figli non entri l'ideologia
I beni relazionali sono il tesoro più prezioso di cui possa disporre una società. Quando questi beni vengono messi in pericolo da condizioni sociali sfavorevoli o, addirittura, da leggi ingiuste o inattuali, lo Stato ha il dovere di intervenire con sollecitudine. In Italia, tra tante norme che avrebbero bisogno di un tagliando, ce n’è una – sull’affido condiviso – che tocca da vicino il bene relazionale più prezioso, quello familiare. Anzi, quello della famiglia già ferita dalla disgregazione e che quindi dovrebbe disporre di un accompagnamento, anche legislativo, finalizzato a salvaguardare per quanto possibile l’impegno di cura e il valore educativo nei confronti dei figli.
Un bene relazionale che si riverbera immediatamente sul piano sociale e che, se trascurato, produce più danni e più sofferenze di una legge finanziaria mal combinata. Ne è la prova quello che sta capitando a Bibbiano, accompagnato da comprensibili clamori mediatici e purtroppo da odiose strumentalizzazioni politiche. Ma anche – e forse ancora di più – le tante situazioni che non fanno notizia eppure continuano a consumarsi in tante altre parti d’Italia nel silenzio e nell’indifferenza dei più. Pensiamo a migliaia e migliaia di genitori separati, stanchi e logorati da una conflittualità che consuma enormi carichi di energia spirituali e di risorse economiche, che produce rabbia e sfinimento, suscita i peggiori sentimenti, fa percepire un welfare impotente e uno Stato assente.
Al centro di queste contese infinite ci sono, in 99 casi su 100, figli minori. Vittime incolpevoli della sete di rivalsa e, a volte, di vendetta e della rabbia tracimante dei loro genitori, ma anche di una legislazione che non dispone degli strumenti adeguati per contenere, limitare, incanalare queste situazioni esplosive e riportarle a un tasso sopportabile di rispetto reciproco e di correttezza civile. Ma si può fare una legge per obbligare i genitori separati a ritrovare l’armonia perduta? Evidentemente no. Anche se le istituzioni avrebbe l’obbligo di costruire un sistema che, accogliendo il 'far famiglia' come bene relazionale più importante, dovrebbe mettere al riparo per quanto possibile da queste derive estreme. Ma questo è un auspicio di lungo periodo per il quale sono indispensabili fondamenta culturali e scelte politiche che non si improvvisano. Più semplice, relativamente, rimettere mano alla legge sull’affido condiviso per offrire ai genitori separati l’opportunità – talvolta bisognerebbe parlare di obbligo – di trovare una piattaforma condivisa di punti e di situazioni tali da non schiacciare i figli sotto il peso delle loro incomprensioni. Oggi questo non avviene.
La legge 54 del 2006, quella attualmente in vigore, grazie soprattutto all’impegno dell’associazionismo familiare, aveva segnato una svolta culturale importante, affermando che si rimane genitori per sempre e si ha il diritto-dovere di educare in due. Principio decisivo che però, nella maggior parte dei tribunali italiani, è rimasto nel codice delle buone intenzioni. Questo perché la norma non si preoccupa di stabilire come e quanto va applicato il principio sacrosanto della bigenitorialità e lascia alla discrezionalità del giudice la traduzione in buone prassi di questo presupposto fondamentale. Capita così che l’affido condiviso, ormai applicato alla maggior parte delle cause di separazioni in presenza di figli minori, rimanga solo un auspicio formale e apra la strada a battaglie giudiziarie infinite e inutili, costose e dilanianti, in cui alla fine perdono tutti. I figli, innanzitutto, ma anche i genitori, per lo stato di conflitto permanente che alimenta l’odio reciproco e quindi un malessere costante che si ripercuote su relazioni, salute e lavoro. La sorte peggiore tocca statisticamente ai padri, esclusi dal dovere di educare i propri figli. Ma la legge non tutela neppure il diritto dei figli di poter contare sull’affetto e sulla dedizione di entrambi i genitori. Pensare di risolvere tutto rovesciando i termini della questione per penalizzare le madri, come in parte si proponeva il disegno di legge sostenuto dalla vecchia maggioranza giallo-verde, non avrebbe prodotto buoni frutti. Oltre a tutte le altre storture più volte sottolineate. L’auspicio ora è che la ministra Elena Bonetti, lasciando 'nel cassetto' quella proposta come ha dichiarato di voler fare, si attivi subito per arrivare a una norma più equilibrata e rispettosa, in grado di assicurare elementi certi, tali per cui entrambi i genitori siano posti nelle condizioni di condividere davvero la responsabilità educativa, con punti fermi, certo, ma anche con flessibilità e buon senso, senza rigidità e senza 'tabelle categoriche'.
Ai figli vittime della separazione, troppo spesso 'orfani' di un genitore vivo, bisogna offrire l’opportunità di lasciare sullo sfondo le tensioni sopportate. Per questo serve una legge finalizzata, per quanto possibile, a recuperare certezze, stabilità, continuità di cura, serenità e sorrisi. Anche quando si ammanta di propositi educativi e di buoni principi, nella stanza dei bambini non c’è posto per l’ideologia.