Clima: non cedere alla rassegnazione. Nella giusta direzione
D’ora in poi il nostro avversario principale nella transizione ecologica non sarà il negazionismo ma la rassegnazione. La tragedia della Marmolada con un costone di ghiaccio che si stacca e fa tante vittime ci avvisa che siamo entrati in una nuova fase della sfida climatica.
Gli avvisi che ci arrivano ormai quasi quotidianamente dal pianeta rendono impossibile far finta di non capire ma rischiano di spingere l’opinione pubblica all’eccesso opposto che ci porta a dire che non c’è più niente da fare (come testimoniano i numerosi messaggi del pubblico nelle trasmissioni sul tema).
Eppure non è così. Nonostante gli allarmi lanciati dal mondo dell’economia civile, della finanza etica e del consumo responsabile da più di trent’anni non siano stati ascoltati fino a oggi, il futuro è ancora nelle nostre mani. Ma dobbiamo cambiare marcia perché se continuiamo così non c’è via d’uscita. I dati scientifici sono schiaccianti. I carotaggi sui ghiacci artici testimoniano la strettissima correlazione tra temperatura media della Terra ed emissioni di gas climalteranti negli ultimi 800mila anni. Il problema è che alle oscillazioni naturali si sono aggiunte le attività umane che hanno fatto aumentare progressivamente la concentrazione di CO2 nell’atmosfera negli ultimi decenni con un trend che non accenna ad esaurirsi. Se vogliamo provare a farlo dobbiamo azzerare le emissioni nette entro il 2050 e ridurle almeno del 55% entro il 2030.
L’alternativa è l’accelerazione dei fenomeni a cui stiamo assistendo.
Un mito da sfatare in ottica di ecologia integrale e di centralità della persona è che la sfida climatica sia una questione radical chic. I tempi si sono accorciati.
Un tempo parlavamo di danni per le generazioni future. Poi sono arrivati i 'gilet gialli' che hanno fatto presente che il loro problema è la «fine del mese» mentre gli ambientalisti pensavano alla «fine del mondo». Ora siamo consapevoli che i disastri ambientali ci colpiscono oggi e colpiscono soprattutto i più deboli che hanno meno risorse per difendersi. Possiamo immaginare gli effetti del riscaldamento globale sulla disponibilità di risorse nell’Africa subsahariana e le masse di profughi che si mettono in moto verso Paesi a clima più temperato.
Non possiamo vincere questa sfida aspettando Godot (la fusione nucleare, un progresso nella cattura di CO2, qualche meccanismo provvidenziale che ci salverà nostro malgrado) anche se speriamo caldamente che arrivi. Il nostro dovere è muovere il più velocemente possibile nella direzione giusta e praticabile già da ora. Che a detta di tutti si chiama eliminazione progressiva delle fonti di energia climalteranti, tra l’altro in questo momento enormemente costose (la Ue ha stabilito il 55% come quota obiettivo di energia prodotta dalle rinnovabili entro il 2030), mobilità sostenibile, edifici a impatto zero, innovazione nell’industria, agricoltura e allevamento per aumentare progressivamente la circolarità della produzione (valore economico generato al netto di emissioni climalteranti e/o polveri sottili).
Che aspettiamo allora a varare i decreti attuativi per le comunità energetiche che cittadini, imprese, diocesi, fondazioni vogliono far nascere in tutta Italia, a sostenere maggiormente lo sforzo degli imprenditori che diventano autonomi nella produzione di energia liberandosi dal gas (di Putin) e delle aziende agricole che vogliono affiancare la produzione di energia alla loro attività tradizionale?
Continuiamo a ridurre i tempi per le autorizzazioni, ad investire nel potenziamento della rete (smart grid).
Le tecnologie degli accumuli già esistenti consentiranno di superare i problemi di intermittenza nella produzione di energia e il progresso tecnologico ci renderà sempre meno dipendenti da singoli minerali o materie prime (molto peggio è dipendere da Paesi nell’erogazione dell’energia giorno per giorno piuttosto che per i materiali necessari ma sostituibili per produrre impianti). Si dirà a che serve lo sforzo dell’Unione Europea, prima della classe, se gli altri non si muovono. La risposta è il Carbon Border Adjustment Mechanism (Cbam) votato a grande maggioranza dal Parlamento europeo e sostenuto da più di 10 anni da un numero mai visto di economisti e premi Nobel concordi su una stessa iniziativa: tutti i prodotti da Paesi terzi che vogliono accedere ai mercati europei devono pagare alla frontiera una tassa proporzionale alle emissioni di CO2 generata lungo la filiera per evitare di fare concorrenza sleale alle nostre imprese. In questo modo la competizione internazionale cessa di essere una corsa il ribasso, ma diventa una competizione che tiene conto della sfida climatica e della transizione ecologica. In tutto questo, i nostri stili di vita sono fondamentali e gli spazi per migliorare i nostri comportamenti enormi. Basti pensare ai tantissimi casi di condizionatori a temperature polari che fanno peraltro male alla salute. Siamo nati in un’epoca in cui ci comportavamo come se energia e risorse ambientali fossero illimitate (i nostri genitori lasciavano scorrere l’acqua del rubinetto a lungo aspettando che diventasse più fresca) ma oggi non è più così. Dobbiamo scegliere tra la rassegnazione che ci fa sentire parte del problema e ci spegne e la cittadinanza attiva che ci fa sentire parte della soluzione e dà ricchezza di senso alla nostra vita. Non ci sono dubbi su quale direzione prendere se vogliamo avere una vita generativa e felice in questo momento così difficile e sfidante.