I fatti di Amsterdam. Le catene d'odio da spezzare nella città di Etty e Anna
Amsterdam, la guerra, l’invasione nazista, Anna Frank. Per la generazione dei ragazzi italiani anni ’70 era un punto fermo, a scuola, quella ragazzina olandese prigioniera in una soffitta, e poi morta a Bergen-Belsen. Una storia terribile, quasi incredibile per noi, figli del boom economico e della pace.
Ma certo, pensavamo, quel Diario apparteneva al passato oscuro di bombardamenti, stelle gialle, retate naziste che ci raccontavano i vecchi. Faticavamo a crederci, nel nostro mondo ormai capovolto dal benessere, dai Beatles, dal’68, da una pace giurata, in Europa, per sempre.
Per chi ha una certa età, che sbalordimento cupo Amsterdam, ieri notte: la caccia all’ebreo, a cielo aperto. I tifosi del Maccabi, dopo la partita contro l’Ajax, inseguiti da branchi inferociti. Attesi davanti agli alberghi, picchiati a sangue. Barricati nei fast food, la polizia assente o distratta. Dieci feriti, ma il vero bilancio è altro: è che nelle strade della città di Anna accade di nuovo, accade ancora. Come se il tempo si fosse voltato indietro: e l’epoca davanti a noi - e i segnali in tal senso non mancano - fosse davvero altra dalla fine del Novecento: e tenebrosa, e angosciante.
Tredici mesi e tre giorni fa, questa caccia sarebbe stata impensabile. Tredici mesi fa, il 7 ottobre, data che resterà nei libri di storia dei nostri nipoti. L’atrocità indicibile, e in Occidente non del tutto compresa, di un pogrom scoppiato in una notte, di un Vajont di orrore che ha sommerso nel suo fango migliaia di uomini, donne, bambini. Non solo uccisi: massacrati, sventrati, violentati. L’odio allo stato puro è salito dal sottosuolo, il 7 ottobre.
Odio spiegato dai terroristi con la lunga occupazione israeliana a Gaza. Occupazione, va detto, ben dura. Sono stata per lavoro molte volte in Israele. Un grande Paese, quello che riesce a rendere feconda la sabbia del deserto. Ma ho ancora negli occhi le madri palestinesi con i bambini in braccio, febbricitanti, respinte malamente ai posti di blocco dai soldati israeliani. Anche nei tempi di “quasi pace” l’odio viveva a Gaza, fra i palestinesi sottomessi, endemico. Tuttavia nemmeno questo ai miei occhi spiega del tutto il tifone di male del 7 ottobre. No, quella è una faccenda pensata a freddo, studiata, organizzata. Un preciso segnale: un pogrom, di nuovo.
Occorre immaginarsi lo choc, in un Paese di figli o nipoti di perseguitati. O di giovani dell’Est Europa, incalzati ancora da un fiato di minaccia. Perfino ebrei francesi erano arrivati in Israele, inquieti nel levare la testa della Destra. In un Paese così, il 7 ottobre ha lasciato una voragine, come una bomba ad alto potenziale.
E Israele ha reagito. All’inizio, col tacito consenso dell’Occidente. Una reazione pareva umanamente inevitabile. Solo che la reazione ha preso a girare, sempre più veloce e micidiale, su Gaza. Fino all’annichilimento: 43mila morti, città annientate. Bombe sui profughi, sugli ospedali, sui bambini in coda per l’antipolio.
Netanyahu ha preso in mano l’odio di quella notte maledetta, per restituirlo. Ma l’odio è cosa viva, e se lo lasci fare si moltiplica come una metastasi. Gaza è la metastasi dell’odio del 7 ottobre: sangue e orrore, moltiplicato per decine di migliaia di volte.
Netanyahu non è la totalità di Israele. Molti sono stati, e crescenti, i segnali di dissenso popolare. Pochi giorni fa quel dissenso stava ulteriormente montando in manifestazioni di piazza. Forse lo avrebbero cacciato? Ma l’America, la notte dopo, ha votato Trump. A Gaza e in Libano la guerra continua.
Quell’uomo, appunto, non è Israele. Si può dubitare anzi che voglia il bene di Israele. Tuttavia, lo sfacelo di Gaza è ogni giorno da un anno sotto gli occhi del mondo, e l’equazione di una parte del mondo è semplice: Netanyahu uguale a Israele, uguale a ebrei. Dovunque essi siano. Studenti nei campus Usa, o bambini che a Parigi o Berlino andavano a scuola con la kefiah sul capo, e se la sono tolta. Ma non è bastato. Si sa, che sono ebrei. Famiglie intere, famiglie come le nostre, vivono, nel mondo, nella paura. Per ciò che alla fine sta facendo Netanyahu: prendere in mano l’odio del 7 ottobre, e moltiplicarlo. E proprio come in una metastasi, le cellule maligne migrano. L’odio si è diffuso. I fatti di Amsterdam ne sono solo l’ultima, e più bruciante, prova.
Si sta a guardare, attoniti. Ad Amsterdam, di nuovo, la città di Anna. La città di Etty Hillesum, giovane colta ebrea non praticante che nella persecuzione attraversa una sbalorditiva metamorfosi spirituale, prima di morire ad Auschwitz. Etty, che diceva a un amico comunista, mentre la fine incombeva: «Vedi, Klaas, non si combina niente con l’odio (..) È che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende ancora più inospitale». Così diceva Etty, la stella gialla sul bavero, a un amico, a passeggio per Amsterdam.