Reportage. Nel servizio sanitario britannico oggi «più privati significa più mortalità»
L’insegna del Nhs sul St.Thomas Hospital di Londra
Era una Gran Bretagna diversa quella del 1992, quando chi scrive ebbe bisogno, per la prima volta, del Servizio sanitario nazionale (Nhs). Una Gran Bretagna che ancora credeva e poteva realizzare il sogno del ministro laburista Nye Bevan che lanciò, nel lontano 5 luglio 1948, il primo sistema pubblico organizzato di distribuzione della sanità, finanziato dalle tasse dei cittadini. Un’idea ambiziosissima e, nello stesso tempo, semplice, una vetta di civiltà e costruzione della comunità, il fatto che, con i soldi dello Stato, tutti sarebbero stati curati, i più ricchi pagando, attraverso le tasse, un conto più salato, i più poveri uno meno oneroso.
Un Nhs free at the point of delivery, “gratis quando viene usato”, che potesse essere un totem rispettato e difeso da tutti, un segno che la “nuova Gerusalemme”, un Paese rinato dalle macerie della Seconda guerra mondiale, era possibile. E di questa “terra promessa”, che divenne un modello anche per il resto dei Paesi europei, componente fondamentale era la sconfitta delle malattie, insieme a quella di povertà, fame e freddo, ignoranza e mancanza di lavoro, i cinque mali identificati dall’economista William Beveridge, un’altra figura chiave di quell’epoca.
Trent’anni fa i pensionati nati e cresciuti nel dopoguerra, i primi a credere nella “nuova Gerusalemme”, si facevano un problema se avevano bisogno di medicine costose, a spese dello Stato, che avrebbero sottratto risorse importanti a chi era più povero di loro. Ricorrere direttamente allo specialista privato senza chiedere, prima, il parere del medico condotto era “anatema”, come sperimentò sempre chi scrive. E, per la maggior parte dei cittadini, era impensabile non farsi curare dalla sanità pubblica. Quella a pagamento era quasi inesistente e non veniva neppure considerata. Per non parlare della parte socialista più convinta della popolazione, quella che, anche in anni più recenti, non si sarebbe mai fatta curare privatamente, per una questione di principio.
Le cose vanno ben diversamente oggi, a ottant’anni di distanza dal sogno di Bevan, in un Regno Unito dove pezzi sempre più importanti del sistema sanitario pubblico vengono affidati ai privati. «Il cambiamento più importante che abbiamo visto, in Gran Bretagna negli ultimi vent’anni, è il passaggio dalla gestione pubblica degli ospedali alla privatizzazione », spiega Benjamin Goodair, ricercatore all’Università di Oxford e autore di diversi studi dedicati proprio al Nhs. «È in questo passaggio che il concetto originario di sistema sanitario pubblico viene snaturato, perché la proprietà pubblica del Nhs era una sua componente fondamentale, la sua identità più profonda. Oggi, invece, servizi chiave come la gestione di ospedali, sistema di pulizie o dei pasti vengono affidati a società private. La nuova tendenza a privatizzare è cominciata con i governi dei premier laburisti Tony Blair e Gordon Brown, tra il 2001 e il 2010, ed è stata poi accelerata dai conservatori con il primo ministro David Cameron».
«Esiste ormai sia tra i Tory sia tra i laburisti – prosegue lo studioso – una fede cieca che il mercato garantisca i risultati migliori e che la competizione tra diverse agenzie faccia scendere i prezzi e risparmiare. Diversi studi, tuttavia, hanno dimostrato che questa rivoluzione del sistema pubblico non ha funzionato e che, dove viene introdotta la privatizzazione, la qualità del servizio erogato peggiora. I privati sono guidati dalla logica del profitto e, di conseguenza, riducono il numero dei dipendenti e risparmiano su ogni aspetto possibile per poter guadagnare ». Spiega ancora Goodair nella sua analisi critica dell’attuale assetto del sistema britannico, che ha radiografato in profondità negli ultimi anni con alcuni colleghi: «I privati nella sanità inglese sono anche più disposti a correre rischi, una situazione pericolosa, quando stiamo parlando di salute. Se l’Nhs vuole sopravvivere deve assicurarsi che la logica del profitto e del guadagno venga rimossa dalla gestione della sanità pubblica».
Secondo un’analisi condotta dallo stesso Benjamin Goodair e da Aaron Reeves, pubblicata dalla rivista scientifica Lancet e intitolata “Uno studio osservazionale della privatizzazione del Servizio sanitario nazionale: appalto dei servizi della sanità al settore privato e tassi di mortalità di malattie curabili in Inghilterra tra il 2013 e il 2020”, alla privatizzazione del sistema sanitario pubblico britannico ha corrisposto un aumento dei tassi di mortalità dei pazienti. È interessante anche notare che a essere curate peggio sono malattie dalle quali i pazienti possono guarire, condizioni come disturbi del sistema digestivo e alcuni tipi di cancro, casi nei quali la morte può essere evitata, se viene somministrata la cura giusta.
La ricerca ha esaminato l’impatto dell’Health and Social Care Act 2012, la legislazione introdotta nel 2012 in Inghilterra che ha spinto il Sistema sanitario britannico a trasferire l’erogazione dei servizi dal pubblico ai privati e ha usato, come campione di studio, 173 ambulatori di medici condotti. Tra il 2013 e il 2020 ben 11,5 miliardi di sterline (13,44 miliardi di euro) sono stati spostati dagli ospedali pubblici a quelli gestiti da società private, ma a un aumento dell’1% della privatizzazione ha corrisposto un aumento delle morti che potevano essere evitate dello 0,38%, vale a dire 0,29 morti ogni centomila persone l’anno successivo. Secondo i ricercatori, almeno 557 decessi tra il 2014 e il 2020 sono stati causati, seppur indirettamente, dalla privatizzazione degli ospedali.
Anche se i politici pensano che affidare la sanità pubblica al mercato sia sinonimo di cure migliori e si sia diffusa la convinzione che, mettendo in competizione gli ospedali tra loro, si avranno risultati migliori, quello che succede è che le società private alle quali lo stato affida pezzi del Nhs cercano di massimizzare il loro interesse, scegliendo le cure con le quali riescono a guadagnare di più e i pazienti più facili, spesso quelli più ricchi, con una qualità di vita migliore e che rispondono meglio alle cure. I malati più complicati, quelli più a rischio e che “rendono” meno, vengono lasciati, di conseguenza, al settore pubblico. Gli ospedali pubblici escono sconfitti da questa competizione, non soltanto perché i pazienti più difficili richiedono più tempo ed energie, ma anche perché i medici appena laureati hanno bisogno di imparare il mestiere, mettendosi alla prova con casi meno complessi, e si ritrovano, invece, senza la possibilità di fare quell’esperienza degli inizi indispensabile per la professione. Ai risultati della ricerca pubblicata dalla rivista Lancet hanno dato il benvenuto le associazioni dei medici, come la British Medical Association e la Doctors’ Association Uk. Attraverso i loro portavoce questi organi professionali hanno sottolineato che sono preoccupati per «l’enorme quantità di soldi che vengono investiti nel privato anziché nel Nhs».
Eppure la tendenza a rendere il settore privato protagonista delle cure garantite al cittadino dalla sanità pubblica sembra consolidata e in continua espansione. Oggi nel Regno Unito il 10% dei pazienti ricoverati sono curati da ospedali e medici gestiti privatamente. Al cittadino viene offerta la scelta se andare nell’ospedale pubblico locale o in uno di proprietà di società profit come Spire, Virgin Care o Circle Health Group o di altre società private. E molto spesso sono i privati ad avere la meglio. La scelta di questa strada – la privatizzazione – benché non abbia dato i frutti sperati, per quanto riguarda la qualità delle cure dei pazienti, sembra una via senza ritorno perché viene vista come la soluzione dei problemi del Servizio sanitario britannico sia dai laburisti sia dai conservatori.
Un’alternativa migliore sarebbero più finanziamenti per l’Nhs, che si trova in grave difficoltà in questo momento, se pensiamo che – solo per fare un esempio – alla fine dello scorso novembre nel Nhs England – il sistema sanitario pubblico inglese – vi erano ancora 7,61 milioni di operazioni e terapie da erogare a 6,39 milioni di pazienti in attesa. Quanto agli scioperi di medici e specialisti, che sono ormai una realtà costante nel Regno Unito, hanno un impatto negativo sulle liste di attesa, in aumento già da anni: dai 3 milioni del 2014 ai 4 del 2027, ai 5 del 2021, ai 7 del 2022. Per non parlare della mancanza di letti, di infermieri, di medici e specialisti. E la strada è tutta in salita.