Piccola Grande Italia/3. Nel piccolo mondo antico dove la fusione fa la forza
Il ruscelletto che saltella tra le case, il glicine che non ne vuol sapere di sfiorire, l’insegna liberty che annuncia da cent’anni l’avvento della modernità. E quando si spalancano i cancelli della villa del Balbianello si è colti dal dubbio che il piccolo mondo antico di Tremezzina sia davvero una quinta di teatro. Invece, sull’altro ramo del lago di Como, quello “dimenticato” da Manzoni ma non dall’aristocrazia d’armi e d’affari che da qualche secolo ne fa la sua residenza estiva, ogni mattina c’è chi dà vita alla Storia delle cose semplici che rappresenta il vero valore aggiunto dell’industria turistica lariana: don Italo apre la chiesa di Santo Stefano, l’oste propone la tradizionale polenta coi misultin, Mauro Guerra e Mario Pozzi si salutano come vecchi amici. Perché sono comunisti e liberali, ma prima di tutto sono tremezzini.
Dal piano superiore dello Skyliner, mentre te ne stai inchiodato in mezzo alla via Regina – sul tratturo che porta da Argegno a Menaggio i pullman gran turismo avanzano a singhiozzo, sognando il completamento della variante interna – puoi pensare che il panettiere e il tabacchino siano dei figuranti. Che tutto, dalla cancellata di villa Belmonte che per ultima abbracciò Mussolini e la Petacci al campanile gotico-moresco di Ossuccio, esca dalla fantasia di un architetto e faccia parte di un master plan pensato per sfruttare le atmosfere romantiche del lago, ora «bigio e sonnolento» ed ora «vitreo, sereno, rinscintillante all’astro», come Antonio Fogazzaro scrisse del Ceresio, che si trova appena al di là del monte di Tremezzo. Per contro, la fusione dei Comuni costieri di Lenno, Mezzegra, Ossuccio e Tremezzo, avvenuta tre anni fa, dimostra che non vi è nulla di artificiale né di artefatto nelle scelte di vita e negli investimenti con cui i comaschi fanno rivivere la propria Storia. Che si può essere marginali mentre si è la prima méta turistica in Lombardia e che si possono prendere anche decisioni difficili per non perdere questo primato.
L'accorpamento delle amministrazioni locali ha avuto esattamente questa ratio: unire le forze per ridurre i costi e creare nuovo sviluppo. Sicuramente, la vocazione turistica è scritta nella storia di questa riviera che da secoli ospita le ville di signori e che ha affascinato le generazioni del Grand Tour. Oltre alla villa del Balbianello, per restare nei confini del neonato comune di Tremezzina, pensiamo alla neoclassica Villa Carlotta, il museogiardino impreziosito dai capolavori di Canova e Hayez, visitato ogni anno da 160mila persone; o al Grand Hotel Tremezzo, tempio della belle époque. Scenografie ideali per chi voglia immergersi in atmosfere eleganti ed esclusive, che le genti lariane difendono con una spontanea riservatezza e la propensione a moltiplicare per due ogni prezzo, dalla camera d’albergo al panino. Del resto, soggiornare tra gli aranci della principessa di Prussia è un privilegio che si paga. Il punto è: fino a quando? «Quando gli abitanti di Ossuccio mi chiedevano perché noi di Tremezzo volessimo accollarci i loro debiti e fondere le amministrazioni – ricorda Guerra – la mia risposta era: perché vogliamo portare Greta Garbo a visitare i resti paleocristiani dell’isola Comacina». Citazione colta – «Andremo a Tremezzo e saremo felici» recitava la Divina in Grand Hotel, nel 1932 –, ma coglie nel segno: la fusione, che ha unificato quattro paesi in un comune che oggi conta poco più di cinquemila residenti, nasce dalla consapevolezza che soltanto unendo i municipi e i bilanci, i vigili e gli uffici tecnici, le scuole e l’anagrafe si possono reperire le risorse necessarie a finanziare un cartellone per l’estate che vada oltre la sagra del pess e la festa del pizzocchero. L’iter seguito da Tremezzina è il medesimo di altri 84 Comuni fusi al termine di processi di unione.
Lo Stato preme da decenni in questa direzione ma solo dal 2012, cioè da quando sono scattati gli incentivi, si è avuta un’accelerazione: la stragrande maggioranza delle fusioni è successiva al 2014; idem per le unioni, che nel 1999 erano 16 e l’anno scorso 536. Nel frattempo, la politica degli enti locali è cambiata: si è passati dalla fusione obbligatoria agli incentivi (pari al 50% dei trasferimenti erariali ricevuti nel 2010) e anche quando è previsto l’associazionismo obbligatorio per le funzioni fondamentali dei piccoli Comuni, l’Anci lavora per tutelare comunque la volontà del territorio. «Fondersi è un esercizio di generosità e di realismo, che viene ripagato: unire i nostri Comuni ha permesso di raggiungere degli obiettivi importanti – spiega Guerra – come la depurazione delle acque del lago e la raccolta differenziata, che ha raggiunto l’80% dell’utenza, consentendo di ridurre la Tares». Una nuova scuola è in costruzione. Tuttavia, i vantaggi concreti non bastano a spiegare il sacrificio del campanile in una terra dall’identità profonda e radicata.
Abbiamo già detto che il successo delle fusioni è legato ai contributi statali ma «va ricordato anche – sottolinea il sindaco di Tremezzina – che amministrare un piccolo comune diventa sempre più difficile e quindi l’accorpamento diventa un passaggio obbligato; gli uffici ridotti all’osso dai tagli non riescono a stare dietro a tutte le incombenze. Per questo, fin dal 2001, il mio paese, Tremezzo, è entrato nell’unione che ha preceduto la fusione». Per tredici anni, le amministrazioni che vanno da Griante a Colonno hanno messo in comune tutto il possibile: raccolta dei rifiuti, mensa scolastica, manutenzione delle strade, polizia locale... Alla fine, ha vinto la Storia: solo quattro sono rimasti. Sono quei paesi dove, da secoli, si parlava della Tremezzina come di una regione unica, da riunificare. Già, perché il Comune di Tremezzina non è una novità, per quanto ciò rappresenti un tasto dolente per chi, come il sindaco, è cresciuto in una famiglia di sinistra. Il nonno di Mauro Guerra arrivò dall’Emilia col fazzoletto rosso; il padre strappò Tremezzo alla contessina Sola Cabiati; l’onorevole Mauro Guerra, più volte deputato (Rifondazione, Ulivo e Pd), dopo aver guidato la lunga marcia verso la fusione ha vinto sotto bandiere civiche le prime elezioni tremezzine contro il forzista Pozzi, per un pugno di voti. Figurarsi cosa significhi per lui ammettere che «sì, il Comune unico di Tremezzina se l’è inventato Mussolini... ma il fascismo è riuscito a fondere tre Comuni, mentre noi, in democrazia e con il consenso dei cittadini, ne abbiamo fusi quattro!»
Politica a parte, la fusione crea qualche problema di gestione, che l’amministrazione non nasconde – «chi ha lavorato, dipendente o amministratore, in un comune da 1000 abitanti non ha istintivamente la forma mentis per operare in un contesto più ampio e sarebbe utile che lo Stato destinasse maggiori risorse alla formazione dei dipendenti» dichiara Guerra – ma non arriva a dividere i paesani. «Sulla necessità di fonderci nessuno ha mai avuto dubbi – ammette lo sfidante Pozzi – anche se noi di centrodestra avremmo attuato una gestione meno burocratica: la sinistra non coltiva il rapporto personale con il cittadino, che è sempre stato un valore aggiunto della vita in provincia». E don Italo Mazzoni, arciprete a Lenno e Ossuccio, osserva: «I primi anni dopo la fusione sono i più difficili e non bisogna perdere di vista l’interesse generale, facendosi calamitare da quelli particolari. In questo senso, l’esperienza vissuta dalle Comunità pastorali, che hanno unificato le attività pastorali senza sacrificare le parrocchie, può essere d’esempio». L’amministrazione può vantare che i residenti di Tremezzina non hanno conosciuto la Tasi – esenti anche le seconde case – e punta all’equilibrio di bilancio «a prescindere dai contributi governativi, perché – sottolinea Guerra – quelli dopo dieci anni finiscono». Non finiranno invece i cespiti derivanti dai matrimoni di charme.
L’argomento è spinoso: la diocesi si è sempre rifiutata di aprire le chiese al business dei fiori d’arancio e i preti uniscono in matrimonio solo chi ha un rapporto consolidato con il territorio e ha seguito il corso prematrimoniale; per contro, la cerimonia officiata dall’ufficiale di stato civile in una delle residenze principesche della zona viene fatturata dall’amministrazione comunale 1.800 euro, senza contare l’affitto del “villone”, il catering e tutto quel che serve per rendere indimenticabile un “sì” da jet set, pronunciato, il che non è secondario, a pochi chilometri da villa Oleandra, dove ha messo su casa e famiglia George Clooney. «Bisogna riconoscere che i matrimoni civili per noi rappresentano un bell’indotto – ammette il vicesindaco Sonia Botta – perché riempiono gli alberghi e danno lavoro a fioristi, estetiste, sarte... » Un’industria dai ritmi fordisti: a giudicare dai fuochi d’artificio che illuminano parchi e darsene il sabato sera, solo nelle ville di Tremezzina nascono più di un centinaio di famiglie vip ogni anno.