Nel nome delle regole. Svolta (bis) di Salvini sui «corridoi»?
Matteo Salvini ha davvero ragione quando sostiene che «l’unico arrivo possibile per donne, bambini e rifugiati è su un aereo, non su barconi gestiti da trafficanti di uomini». Lo ha detto mercoledì 14 novembre 2018, accogliendo a Pratica di Mare 51 persone provenienti da un campo profughi in Niger, arrivate grazie a un corridoio umanitario organizzato dall’Onu e dal nostro Governo. Sono madri che hanno subìto ogni sorta di violenza nei campi di detenzione in Libia, ragazzi terrorizzati e uomini particolarmente debilitati che ora saranno accolti e ospitati dalla Comunità Papa Giovanni XXIII.
Ha ragione il ministro dell’Interno a indicare questo modello di percorso sicuro, perché occorre sottrarre – e non certo aggiungere – sofferenze a chi già scappa da guerre o situazioni di estremo pericolo e, nel contempo, soffocare l’indegno e violento business della tratta di esseri umani. Su queste colonne lo scriviamo da anni, chiamando a responsabilità governi italiani ed europei di diverso colore.
E la comunità cristiana ne è talmente convinta che non solo sostiene da sempre queste posizioni, ma – cosa assai più importante – dal 2016 le ha messe in pratica con i "corridoi umanitari" organizzati e autofinanziati da Comunità di Sant’Egidio, Federazioni delle Chiese evangeliche in Italia, Tavola valdese e, dal 2017, anche dalla Conferenza episcopale italiana. Iniziative, svolte in accordo con i Ministeri degli Esteri e dell’Interno, che hanno condotto in sicurezza nel nostro Paese 1.500 persone e che altre nazioni come Francia, Belgio e Andorra hanno preso a modello per progetti analoghi. Il leader della Lega si era già espresso in passato (era il 20 settembre 2016), a favore dei "corridoi umanitari" e lo aveva fatto dai microfoni di Radio Padania proprio in dibattito col direttore di "Avvenire", ma poi quando nella passata legislatura si era trattato di votare un provvedimento a riguardo, il sostegno del suo partito non c’era stato. Bene, allora, che oggi il ministro dell’Interno si sia invece incamminato concretamente su questo sentiero virtuoso, in collaborazione con l’Onu. Speriamo che tali iniziative si moltiplichino in Italia e che le altre Nazioni europee facciano altrettanto.
Non solo i rifugiati, però, dovrebbero poter arrivare nel nostro Paese in aereo, in maniera sicura, senza essere costretti a passare dalle forche caudine dei trafficanti. Anche quanti legittimamente cercano da noi un’occasione di riscatto dalla miseria, fuggono da terre divenute inospitali o semplicemente pensano di poter offrire al nostro Paese il loro lavoro. Migranti cosiddetti "economici" che dovrebbero poter entrare in maniera regolare e regolata in Italia riaprendo canali d’ingresso controllati che sono ostruiti ormai da otto anni. La moltiplicazione delle domande di asilo anche da parte di chi non ne aveva titolo, infatti, si è determinata negli ultimi tempi in buona parte proprio per la chiusura delle possibilità di immigrazione regolare in Italia operata con la legge Bossi-Fini, che ha strettamente legato la regolarità del soggiorno – e di fatto dell’ingresso – della persona straniera alla sua occupazione.
Tra qualche settimana sarà approvato definitivamente il decreto sicurezza assai criticabile per diversi aspetti, a cominciare dalla stretta sulla protezione umanitaria, la riduzione dell’efficace sistema d’accoglienza Sprar e l’allungamento dei tempi per la cittadinanza. Riserve e preoccupazioni che restano intatte, ma è proprio la determinazione del Governo a ridurre nettamente lo spazio concesso all’asilo e alla protezione sussidiaria a rendere inevitabile la riapertura di canali d’ingresso regolari e ben regolati per lavoratori stranieri. Dei quali comunque il nostro Sistema Paese ha necessità, non fosse altro che per motivi demografici (in 20 anni mancheranno 2 milioni di giovani al nostro "mercato del lavoro"). È possibile immaginare, a questo riguardo, almeno tre forme di ingresso regolato.
La prima è quella del 'vecchio' decreto flussi che si è molto ridotto negli ultimi anni fino quasi ad azzerarsi e che invece potrebbe rappresentare uno strumento anche di cooperazione con i Paesi con cui si sono stretti accordi per i rimpatri delle persone entrate irregolarmente in Italia. La seconda è una 'sponsorship', come avviene già in Canada e in Gran Bretagna e come avveniva in Italia, con responsabilità penali contro eventuali truffe, ma con la possibilità per i cittadini italiani, le imprese e per le realtà del Terzo settore di chiamare a lavorare da noi persone straniere e delle quali ci si fa garanti.
La terza, da mettere a punto, potrebbe essere un visto d’ingresso temporaneo per la ricerca di lavoro. Valido 3 o 5 mesi, disciplinato in modo serio e stringente. Servono, insomma, strumenti per permettere la realizzazione di progetti migratori sicuri e di qualità, prosciugando anche così la palude del lavoro nero o comunque sottopagato. Sono solo esempi, ipotesi da verificare. Ma su cui varrebbe la pena confrontarsi senza pregiudiziali.
Perché nessuno, davvero nessuno, può sopportare ancora che ci siano campi di tortura e barconi della morte, quando è possibile creare corridoi umanitari per proteggere le vittime dei conflitti e insieme permettere un’immigrazione regolata – a bordo di aerei o di navi di linea – a coloro che, con il lavoro e l’integrazione, possono dare un contributo positivo alla loro vita, al nostro Paese e alla loro terra d’origine. Se la 'svolta' (bis) di Salvini è convinta, darà frutti sani e non sarà solo uno spot isolato. Nel nome delle buone regole, una nuova politica delle migrazioni può e deve decollare.