Nel mondo delle 169 guerre il problema non è il disarmo, ma il continuo riarmo
Gentile direttore,
il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol ha firmato un accordo con Washington per lo stazionamento di sottomarini nucleari americani nelle basi della Corea del Sud. Questa è la risposta concreta alle minacce quotidiane del dittatore Kim Jong-un, che continua imperterrito con le sue provocazioni militari, ed è ciò che in termini strategici si chiama deterrenza. Chi sostiene che il disarmo unilaterale sia l'unica strada percorribile per il mantenimento della pace si trova attualmente fuori dalla storia perché ciò che sta accadendo è molto chiaro. Davanti alle minacce di dittatori spietati e sanguinari non si risponde con le suppliche e le invocazioni, ma con l'adeguata forza capace di replicare alla violenza. Qui si tratta di evitare l'aggressione prima che avvenga, e il disarmo in queste condizioni è soltanto un invito a infierire sul più debole.
Gentile signor Gamiani, con gli argomenti che lei porta, soltanto in apparenza si vince facile. In realtà, si perde tutti. Anche se alcuni (pochi) ci guadagnano e magari pensano di continuare a farlo all’infinito. La prospettiva e il problema non sono il possibile disarmo unilaterale di qualcuno, nel mondo è attuato da settant’anni solo in Costa Rica (Paese dove c’è la polizia, e nessun esercito). La prospettiva deleteria e il problema drammatico, sono l’interruzione dei percorsi di disarmo bilanciato e la forte e persino rabbiosa spinta al riarmo di troppi Stati, compresi i pacifici Paesi di cui noi europei siamo cittadini. Non si fidi di quelli che sloganeggiano “i missili portano la pace”: sono ideologi della mistificazione, “so-tutto- io” capaci di sostenere (o mettere in bocca agli altri, secondo le necessità) che “Cristo è morto di freddo”. La guerra si fa anche così, del resto, mentendo spudoratamente in Russia come in Occidente, sempre a spese dei poveracci che ci lasciano la pelle. Ma la realtà è dura, ed è tenace. E per questo bisogna cambiare spartito. Che oggi è la realtà di un riarmo impressionante, fatto di commerci sfrontati, di poste di bilancio in impennata, di armate e di armamenti schierati, e ovviamente di parole d’ordine e di contrapposte propagande, martellate nelle orecchie e nelle teste delle persone e dei popoli. Una deriva pilotata, all’insegna dell’ognun per sé e strumenti di distruzione per tutti. E in essa finiscono per giganteggiare – tra tanti deboli ed ex forti – gli apparati bellici di Usa e Cina e l’incubo rappresentato da quel che resta (sotto la Bomba, più orrore ed errori che grandi conquistatori) della macchina militare di Mosca. Arsenali ed eserciti che possono distruggere il nostro mondo multipolare che molti vorrebbero di nuovo forzatamente e disciplinatamente bipolare, ma che non possono conquistarlo. Nessuno può più vincere guerre, può dichiararlo, ma senza verità. La disastrosa invasione russa dell’Ucraina lo dice e lo ripete da mesi a chi vuol capire davvero, così come l’altrettanto disastroso abbandono dell’Afghanistan da parte degli americani e degli altri occidentali (noi italiani compresi). E lo gridano i 169 conflitti bellici che incendiano quasi ogni angolo del mondo ( Conflict data program, Università di Uppsala 2020). A che cosa serve l’attuale uso della “deterrenza”? A insanguinare e impoverire l’umanità che è aggredita quasi in ogni dove, ma a poter sostenere di essere in pace, perché noi del “clubbino” occidentale stiamo più o meno in pace. Diventa, così, sempre più chiara la «follia» di cui parla con inesausto dolore il Papa, perché di questo passo resterebbe solo la barbarie nucleare per chi osa pensare di poter trionfare su potenze nucleari in campo direttamente o per procura. E se così fosse, sarebbe la sconfitta di tutti, e si rischierebbe la disfatta dell’umanità. Non vedere, non temere e non ribellarsi a tutto questo, a mio parere, è da tifosi irrazionali di un pezzetto di mondo o da persone rassegnate ai massacri e persino all’apocalisse o da produttori di armi. In quest’ultimo caso, ci si vede benissimo e ci si frega le mani, illudendosi di essere mortali. Almeno finché si può. Beh, noi no. Per nulla. E non si tratta di essere «fuori dalla storia », ma di starci dentro fino in fondo e di farla continuare.