Uno choc stellare, l’immensità, il posto dell’uomo. Nel cielo di Dio e nei nostri occhi
Dinanzi all’abisso che si apre nell’arco stellato di notte, la creatura terrestre resta col naso in su, trasognata e umiliata. Vorrebbe salire e imbarcarsi su carri divini, sguazzare in quel liquido tremolio ininterrotto di corpi sfavillanti; vicini da toccare con un dito, ma lontani un’eternità. Vorrebbe abbracciare quei punti di luce ardenti e sfuggenti, natanti in un oceano sconfinato, ma solo al pensiero, sente il cuore trasalire per l’assenza di mura di sostegno, di sgabelli, di regioni, di pareti, di ragionevoli protezioni. Dinanzi alla grandezza si rivela la piccolezza e la meraviglia è il metro con cui tale distanza si scopre e si misura.
Guardare le stelle e seguirne il loro cammino di notte in notte, di tempo in tempo, di mistero in mistero, è stata una benedetta e universale tentazione degli antichi e dei moderni. Dagli astronomi babilonesi, ai Magi persiani, ai greci fisici e filosofi, alle Sfere cabalistiche, il mondo del cielo era il grande regista della scena sulla terra: così in alto esso poteva governare il basso; così grande poteva gestire le piccolezze; così inaccessibile al piede umano poteva essere, appunto, il tappeto del trono di Dio. Dal cielo si definiva il tempo sulla terra, al ritmo di suoni silenziosi e assoluti, divine tètraktis della matematica musicale. I corpi celesti hanno scritto calendari – lunari e solari – e le donne recependo il loro ciclo, nel loro stesso corpo, hanno segnato l’onda della luna per i mesi in cui nascere e morire.
E adesso che il piede dell’uomo si è sollevato ben oltre il suo naso, che voliamo ordinariamente sopra le nuvole e alcuni coraggiosi, tra noi, orbitano in navicelle omeriche spaziali, respirando oltre l’aria, in panorami astrali e virtuali, interferendo con le piste dei pianeti e con le scie delle stelle; adesso ancora sentire di un’onda sollevata da un collasso di stelle di neutroni ci fa tremare, sognare, entusiasmare... la voce di un evento che porta in 99 secondi, ben 130 milioni di anni! che smargina il nostro stesso pensiero, rivelando la nostra vita inarginabile. Colpisce al cuore e alla testa l’immensità dello spazio che corre, scorre e si curva al fuoco d’artificio di una stella 'deviata' che, quando arriva a bussare al nostro polso, è già diventata, da milioni di anni, un buco nero!
Quando Marica Branchesi, scienziata del Gran Sasso Science Institute ha sentito squillare il cellulare, il 17 agosto 2017 (con buona pace degli astrologi verso i giorni nefasti!) nella sua casa di Urbino, stava accudendo i suoi bambini di otto mesi e due anni. Il giorno prima sua sorella aveva, tra l’altro, partorito. L’onda – di entusiasmo – generata dalla stella esplosa – in un tempo antichissimo – si sarà confusa coi vagiti argentini dei piccoli e dei neonati. Un incrocio di stelle e bambini che stupisce per l’eco che trova nel verso di un Salmo, tra i più suggestivi del Salterio: «La bocca dei bimbi e dei lattanti ti procura una lode» (Sal 8,3): un coro di stelle che – come lattanti – fora le tenebre per succhiare la luce! Bocche che aprono immensità di vita, forando metaforiche coltri di notte (e di morte) tra lo spazio ed il tempo… Mistero mistico e stupore scientifico che si suggellano in 99 secondi di onda stellare consegnata alle voci dei bambini.
Il Salmo ottavo celebra la grandezza del cosmo, eterna liturgia del nome di Dio: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato (…) Quant’è grande il tuo nome su tutta la terra!»; ma si stupisce, ancor più, per la grandezza della piccola creatura terrena: «Che cos’è l’uomo perché te ne curi?», si chiede, mostrando la distanza tra l’immenso e l’immanente. Giacché su tanta piccolezza si abbatte un’onda travolgente: «Eppure l’hai fatto poco meno di un dio»: è la vertigine della canna che intercetta il Canto.