Sanremo/2. Bende e bavagli che mettiamo noi. Nave nella tempesta ma dentro una bolla
Domenica 10 febbraio, mattina. Come d’abitudine, appena bevuto il caffè vai sui siti della stampa nazionale. A Sanremo ha vinto un ragazzo che si chiama Mahmood e si sente «italiano al cento per cento». Bene, ti dici, anche questa è integrazione; poi scorri col dito, a cercare altre notizie. Il secondo titolo è su un cantante che ha perso, e ha mandato a quel paese i giornalisti. Il terzo è su Salvini, non soddisfatto che abbia vinto uno che si chiama Mahmood. Poi le polemiche sul televoto, che avrebbe decretato un altro vincitore. La sala dell’Ariston protesta perché preferiva Loredana Bertè. E così via, dieci titoli su Sanremo. Allora cambi testata: è lo stesso. Un’altra: uguale. Per trovare una notizia che riguardi la realtà devi spingere il dito fino all’undicesimo titolo. Un po’ smarrita spegni lo smartphone. A mezzogiorno riprovi: come prima, con polemiche e pettegolezzi aggiornati. Alle tre, ancora. Finché non cominciano le partite, e arrivano sui siti i primi gol.
Una domenica sul web come una bolla vacua che fluttua nelle canzoni, spesso canzonette, di Sanremo, lontanissima dalla realtà. Realtà che è amara e quasi ogni giorno si esprime in numeri da débâcle. La produzione industriale a dicembre, ai minimi dal 2012. La popolazione italiana in calo, registra l’Istat, e le nascite che hanno appena toccato il minimo storico. La disoccupazione giovanile che falcia le speranze dei figli. Lo spread che incalza. La sfiducia degli investitori nell’Italia. L’isolamento verso cui andiamo, in Europa. Sono titoli degli ultimi giorni, e descrivono – è doloroso dirlo – un grande Paese che pare avviarsi al declino. Anche se molti tg glissano su certi numeri, e riportano ampiamente i tweet di Salvini e Di Maio e il «2019 anno bellissimo» di Conte, per poi concludere con servizi sull’estinzione delle tartarughe marine. I telespettatori distratti possono credere che tutto vada come sempre. Ma non va tutto come sempre. I migranti annegano in silenzio nel Mediterraneo, o vagano per venti giorni su navi respinte dal nostro Governo. O muoiono assiderati al confine con la Francia, l’ultimo l’altro giorno, aveva 29 anni, poche righe sui giornali. L’Italia è sempre meno accogliente, perché ha paura. Avverte la crisi: la recessione sarà 'tecnica', ma se ne sente il fiato addosso. E allora perché, questa domenica di febbraio, imbambolati più che mai su Sanremo? Come se non accadesse altro. Come se non ci fosse altro da raccontare e da leggere.
Si percepisce nell’aria, da certi proclami dei governanti, una voglia di mettere il bavaglio ai giornalisti. Ma, ti viene da chiederti con malinconia, bavaglio e benda non ce li stiamo mettendo da soli? Certo, il web funziona così: vince e resta in pagina ciò che è più cliccato dagli utenti. Ed evidentemente domenica gli italiani non volevano pensare che a Sanremo. Cliccavano solo su Sanremo. Il Governo padrone eppure traballante, la produzione industriale a picco, la disoccupazione, il Ponte Morandi e tutti gli altri ponti non controllati, le frane e le alluvioni sul territorio ogni volta che piove. No, non volevamo pensare a tutto questo, domenica scorsa, e i siti di tanti giornali, obbedendo ai nostri clic, ci hanno dato quello che desideravamo: canzoni e canzonette, gossip, battibecchi, lustrini. Fa un po’ paura, questa bolla di collettiva distrazione. Come se in troppi avessimo, senza dircelo apertamente, deciso di non pensare. Perché spaventati, o scoraggiati, o fatalisti. O rassegnati, dentro la corrente di un declino economico e sociale cui non sappiamo reagire. «Soldi, soldi», dalla radio già veniva il tormentone della canzone vincitrice. Questo accadeva anche negli anni Sessanta: il mattino dopo Sanremo, i garzoni in bicicletta fischiettavano il motivo più orecchiabile. Così era una cosa bella, popolare. Ma questa ossessione, questo martellìo sul web per 24 ore sulle ingiustizie ai danni del televoto, turba. Giacché intanto al voto, quello vero, in Abruzzo sono andati in 53 su cento. Gli altri, i rimasti a casa, magari per Ultimo o Il Volo avevano votato. Come se solo a questo si volesse pensare, e non alla nave che sotto ai piedi oscilla, su un mare agitato.