Una lunga lettera e un’affettuosa telefonata. Il costante ricordo nella preghiera in tutte le celebrazioni e gli appuntamenti dell’appena trascorso "trittico" natalizio - Messa della Notte, Messaggio Urbi et Orbi del 25 dicembre e Angelus di Santo Stefano. Ma soprattutto quel paragone - «siete come Gesù» - che indica alla coscienza spesso distratta del mondo (e non di rado degli stessi cristiani) lo status testimoniale degli iracheni e dei siriani profughi a causa della violenta persecuzione dell’Is. «Siete come Gesù», ha detto loro nella telefonata del 24 dicembre mediata da Tv2000, dopo che il giorno precedente aveva inviato loro un accorato messaggio. In pratica l’identificazione stessa con Cristo e con le sue sofferenze, che iniziano nel momento dolcissimo e unico in cui l’Emanuele inizia a respirare l’aria di questo piccolo pianeta sperduto tra le stelle.In cima alle parole e ai gesti di papa Francesco, nel Natale del 2014, ci sono soprattutto loro: i bambini, gli anziani, le famiglie che hanno trovato rifugio nei campi profughi del Vicino Oriente. Ma il pensiero e il cuore del Pontefice si sono naturalmente allargati fino a ricomprendere tutti i perseguitati a causa della fede in Cristo, ovunque essi si trovino. Avrebbe voluto visitarli, abbracciarli di persona. Li ha spiritualmente portati con sé nella Basilica Vaticana la notte di Natale, li ha fatti "affacciare" con sé dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro per il Messaggio Urbi et Orbi, e dalla finestra del suo studio per l’Angelus di Ieri. Loro sono come Gesù: «Per lui non c’era posto ed è stato cacciato via, ed è dovuto fuggire in Egitto per salvarsi». E questa frase racchiude molto di più che una umana consolazione. Essa è l’interpretazione autentica del Natale, a cui di solito non si fa caso, dato che il «falso rivestimento dolciastro» (così l’ha definito ieri il Papa) fa aggio su quasi tutto. La festa della nascita del Salvatore è nella sua vera essenza tutt’altro che un evento sereno. Pensate. Dio assume la forma umana e per lui c’è spazio e calore solo in un’umile mangiatoia. Poi, quando la notizia in qualche modo trapela, la prima reazione del potente di turno è la strage degli innocenti, che innesca la fuga in Egitto. Dio si presenta bambino, debole e povero, perseguitato e profugo, in pratica incamminato fin dall’inizio su quella via della croce che avrà il suo culmine sul Golgota. E non è un caso che il giorno dopo Natale la Chiesa ponga la memoria liturgica del primo martire, Santo Stefano, quasi a mettere subito le cose in chiaro: il martirio - cioè la testimonianza estrema fino al dono disarmato della vita - è l’altra faccia della medaglia rispetto alla professione di fede nel "Dio con noi".Il Papa - mettendo ripetutamente l’accento sul "martirio" dei profughi iracheni e degli altri cristiani perseguitati - ha in pratica rimarcato tutto ciò. E lanciato il suo messaggio in due direzioni. Ai fedeli ha ricordato questa basilare verità, additando coloro che soffrono a causa di Cristo come esempi di quella fiducia in Dio che non viene meno neanche nella prova più dura. Essi, ha detto in sostanza a ognuno di noi e alle nostre comunità, sono gli esempi più fulgidi di quella «coerenza cristiana», sottolineata con forza all’Angelus di ieri. Coerenza del «pensare», del «sentire», del «vivere», che spesso manca anche di fronte a minacce molto meno violente (ancorché non meno insidiose per la salute dell’anima) degli attacchi dell’Is. Nel contempo, però, il Papa ha parlato anche al mondo. Alla comunità internazionale nel suo complesso, a quei potenti che di fronte alle sofferenze di intere popolazioni girano la testa da un’altra parte o addirittura vestono i panni di novelli Erode del 2000, distratti nei confronti delle piccole vittime proprio come nemici dei bimbi maltratti e uccisi «anche prima di vedere la luce», seppelliti «nell’egoismo di una cultura che non ama la vita». Basta sofferenze, ha ribadito, basta guerre e terrorismo, basta con il pianto dei bambini in Iraq, in Siria, in Medio Oriente, in Nigeria e ovunque si soffre a causa di «guerre, persecuzioni e schiavitù». «Non possiamo rassegnarci ai conflitti». Occorre costruire la pace, basata sul rispetto dei diritti umani, a partire dalla libertà religiosa, che è la base di tutti gli altri.L’immagine simbolo, da questo Natale 2014, il Vescovo di Roma ce l’ha consegnata proprio la Notte di Natale, portando in braccio la statuetta del Salvatore, con la stessa tenerezza con cui avrebbe abbracciato un neonato di Erbil. «Siete come Gesù». E in quel momento nel volto del Cristo bambino, debole e povero, perseguitato e profugo, tutti hanno potuto vedere le sembianze di ogni uomo che soffre.