Né tifosi né ignavi, ma con chi soccorre. Per il giusto governo delle migrazioni
Caro direttore, ammetto che sul caso della 'Sea Watch 3' e della 'Alex' e di ogni altra 'barca umanitaria', che tanto ci prende emotivamente, è difficile resistere alla sindrome delle tifoserie per ragionare a mente fredda. Per ciascuno di noi, il giudizio ha molto a che fare con convinzioni, opinioni, sensibilità soggettive. Perciò è utile, in premessa, mettere nel conto una differenza di posizioni, da rispettare nel nome di un vero e sano spirito liberale. Sempre che – ecco la tentazione opposta – non si prenda la facile via di fuga di un terzismo non virtuoso, che odora di ignavia, di comodo rifugio nella equidistanza, che ci alleggerisce dalla responsabilità di formulare un giudizio, di prendere posizione su un caso che ci interpella in profondità. Ripeto: una posizione non emotiva, non faziosa, rispettosa di chi la pensa diversamente. Senza pretendere che sia condivisa, la mia fa leva su quattro elementi: tre constatazioni e una preoccupazione.
In primo luogo si tratta di fissare un punto cruciale che attiene allo svolgimento dei fatti: accertare se, in concreto, vi fossero alternative a Lampedusa, se, da parte prima della 'Sea Watch 3'e poi della 'Alex' vi fosse il proposito politico di sfidare il governo italiano, di 'creare il caso'. Sulla vicenda del secondo veliero dobbiamo attendere. A proposito di 'Sea Watch 3' siamo invece tenuti a dare credito ai magistrati, secondo i quali i soli due porti alternativi, quelli di Malta e di Tunisi, erano insicuri o inagibili. Posto che l’Onu e il nostro stesso Governo (non questo o quel ministro) giudicano la Libia un 'porto non sicuro'.
Vi è poi – secondo elemento – la questione di principio circa la indubbia violazione delle nostre leggi recenti (segnatamente del Decreto Sicurezza bis, in vigore, ma ancora non convertito dal Parlamento). Che violazione da parte di 'Sea Watch 3' ci sia stata è indubbio, l’ha riconosciuto la stessa capitana Carola, pronta a pagarne il prezzo. E tuttavia è oggetto di discussione se quel decreto sia conforme alla Costituzione e alle Convenzioni internazionali circa il diritto del mare. Ancor prima del tema classico della obiezione di coscienza alla legge ingiusta (tema che ci accompagna da Antigone in poi, circa il primato della legge di Dio sulla legge degli uomini), sta appunto l’interrogativo circa la conformità della legge violata alle leggi positive a essa superiori gerarchicamente. Molti giuristi e osservatori internazionali hanno stigmatizzato la difformità della legge italiana dal Diritto del mare in materia di salvataggi, e il pm Patronaggio, che pure aveva disposto il fermo di Carola, ha confutato la necessità e l’urgenza che autorizzerebbe un decreto in materia.
Terzo: il buon nome dell’Italia, diciamo pure il suo onore. Il caso 'Sea Watch', comunque lo si giudichi, ha confermato e rafforzato l’immagine del nostro Paese che ha preso corpo di recente. Una immagine, va detto, in contraddizione con la sua fama, i suoi princìpi, la sua tradizione. L’Italia, sino a ieri, aveva la nomea di Paese singolarmente sensibile alle istanze umanitarie; di patria di una civiltà giuridica avanzata, forgiata dal diritto romano e dalla scuola di Cesare Beccaria; di culla della cristianità incline a una concezione della giustizia non insensibile alle ragioni della pietas umana. Comunque la si pensi, non è bello che, da questa controversa vicenda, agli occhi dell’Europa e del mondo, l’Italia sia apparsa come un Paese sordo alle ragioni umanitarie.
Infine, un argomento, forse il principale, che definirei di natura educativa e che ha a che fare con i buoni esempi. Un argomento che muove da una opzione di valore dirimente: quella espressa con icastica semplicità dal cardinale Parolin: «La stella polare è salvare la vita, tutto il resto è secondario». Non è necessario beatificare la giovane capitana tedesca, né escludere categoricamente in via assoluta che qualche Ong impegnata nel salvataggio dei naufraghi possa avere commesso errori per non accedere alla opposta visione, ispirata alla cultura del pregiudizio e del sospetto, gettando così un discredito sistematico su persone e organizzazioni che fanno del senso di umanità e del soccorso ai 'disperati della terra' la loro missione. Mettiamola così: come possiamo sperare in un mondo meno gretto e disumano, come possiamo spacciarci per buoni educatori, se ci inibiamo dall'additare ad esempio ai nostri figli quanti, magari talvolta sbagliando, tuttavia agiscono in buona fede, generosamente, pagando di persona, mettendosi dalla parte della vita?
Franco Monaco già parlamentareCome sai, caro Monaco, sui punti che sollevi la sintonia tra noi è forte. Mi limito ad aggiungere ai quattro da te indicati un quinto punto, ma sottolineandolo idealmente un’infinità di volte. Siamo tra quanti chiedono da anni nuove, salde e lungimiranti regole per governare i flussi migratori in una fase storica in cui per molti seri e diversi motivi (economici e climatici, demografici e politici, a causa di guerre e persecuzioni religiose...) essi sembrano inesorabilmente destinati a crescere. Lo chiediamo con più forza da quando, in Italia, la legge Bossi-Fini ha reso di fatto e di diritto impraticabile ogni via regolare per i cosiddetti 'migranti economici' e ha ridotto a potenziale 'reato di clandestinità' persino la fuga verso il nostro Paese dei perseguitati. In campo ci sono diverse proposte, da quelle eminentemente umanitarie, che nessun Paese civile dovrebbe snobbare, per i profughi e i rifugiati, a quelle per dare un senso civile ed economico al movimento di lavoratori stagionali (e no) verso l’Italia e l’Europa. Purtroppo la scorsa legislatura è stata fatta passare invano, nessuno ha avuto testa e cuore per cambiare una pessima normativa, mentre nella legislatura in corso sembra che si sia disposti a tutto tranne che a uscire dalla retorica e dal 'cattivismo' prediletti da politici senza scrupoli, con pochissima umanità e senza il senso del vero interesse nazionale. Ma arrendersi non si può.