Il direttore risponde. Né imbavagliati né guardoni, c’è una terza via
Giuseppe Bianchi
Ho considerazione, gentile signor Bianchi, per il parere strapositivo sul ddl intercettazioni del collega ed ex portavoce di Palazzo Chigi (ai tempi di Massimo D’Alema) Fabrizio Rondolino. Così come ne ho per i pareri opposti di tanti altri colleghi, a cominciare da quello del segretario della Fnsi Franco Siddi. Ma continuo a ritenere che la vera «buona legge» sia quella che i giornalisti di Avvenire, per scelta professionale e di coscienza, seguono da anni, da ben prima che io divenissi direttore di questo giornale: rispettare il lavoro della magistratura contro i crimini e non intralciarlo mai (men che meno per ansia di scoop); informare con rigore i lettori e metterli in condizione di valutare i fatti; evitare il pettegolezzo e non invadere la sfera privata delle persone in modo ingiustificato e morboso; ricordarsi sempre che nessuno è colpevole fino alla condanna e dunque non imbastire processi mediatici né precostituire sentenze; non usare le notizie in modo pretestuoso o interessato. È per questo che noi di Avvenire non abbiamo mai pubblicato (e inevitabilmente selezionato e manipolato) le famose "lenzuolate" di intercettazioni telefoniche, ma non abbiamo neanche tralasciato di dar puntualmente conto di inchieste, accuse, difese e processi. Insomma: sono e resto convinto che tra il cosiddetto «bavaglio» e l’uso guardone e violento di materiali d’indagine ci sia una via mediana e ben solida. Noi la conosciamo e la sperimentiamo da tempo. Vogliamo continuare a percorrerla, esercitando la nostra libertà di giornalisti con senso del dovere e del limite e in responsabile atteggiamento di servizio verso chi ci legge.