Annunciando al mondo i timori per una corsa all’atomo anche in Myanmar (o in Birmania, il nome impiegato dalla diplomazia Usa che non riconosce la giunta militare al potere dal 1988), Hillary Clinton ha forse messo la parola fine non a una ma a diverse epoche. La prima è quella segnata dal Trattato di non proliferazione nucleare, firmato da Stati Uniti, Gran Bretagna e Urss nel 1968 ed entrato in vigore nel 1970. In quell’anno, l’arsenale atomico mondiale contava quasi 40mila testate e sarebbe arrivato a quasi 70mila nel 1986, in piena escalation alla deterrenza nucleare. Da allora, la situazione è migliorata in termini quantitativi, ma si è complicata in termini qualitativi. America e Russia sono scesi a poche migliaia di testate, Francia, Cina a Gran Bretagna non sono salite più di tanto. In compenso, ai cinque Paesi a cui fu riconosciuto fin dal principio lo 'status nucleare' si sono aggiunti India, Pakistan, Israele (che potrebbe avere 400 testate) e Corea del Nord, e nessuno di questi Paesi aderisce al Trattato. Altri ci hanno provato: di recente l’Iraq (stroncato dal bombardamento israeliano del 1981), forse la Siria, l’Iran; in passato Sudafrica, Brasile e Argentina. Il Trattato aveva tre capisaldi: disarmo, non proliferazione e uso pacifico del nucleare. Il primo è fallito (è cresciuto il numero dei Paesi dotati della bomba), il secondo pure, almeno nella sostanza (il numero delle testate è calato, la minaccia però si è allargata), mentre il terzo si è trasformato in un boomerang. Perché dal nucleare civile a quello militare il passo non è lungo e molti ne approfittano. Il che ha scardinato un altro dei principi-chiave del Trattato, quello per cui i Paesi dotati di armi atomiche non devono cedere tecnologie belliche ai Paesi che ne sono privi. Non è più necessario: fornita la centrale, basta qualche scienziato per procedere verso l’ordigno. La seconda epoca che si chiude è quella della 'bomba nazionale'. Le ultime sono state quelle di India e Pakistan, da allora il rischio si è fatto più sottile. La 'bomba nazionale' è sotto il controllo, almeno morale, appunto di un Paese. La bomba della Corea del Nord come quella che avrebbe voluto Saddam o quella che vorrebbero gli ayatollah e i generali birmani sono bombe di regime, servono a garantire la sopravvivenza di questa o quella specifica dittatura. Le lezioni contrapposte dell’Iraq (non l’aveva e Saddam è stato cacciato e giustiziato) e della Corea (avendola, Kim Jong Il resta al potere e incontra Bill Clinton) sono 4 state ben assimilate. Ma c’è ancora una terza epoca che si chiude con le dichiarazioni della Clinton, in parte anticipate dagli interventi di Obama verso la Cina: l’epoca della corsa all’allargamento verso l’Est europeo della sfera d’influenza americana. Con la Nato, i rapporti privilegiati (Paesi baltici, Polonia, Repubblica Ceca, Azerbaigian), il sostegno più o meno aperto alle rivoluzioni più o meno democratiche (Ucraina, Georgia), le iniziative strategiche nel campo dell’energia (l’oleodotto Btc, da Baku a Ceyhan in Turchia attraverso Tbilisi) gli Usa hanno perseguito una politica di contenimento della Russia esagerata rispetto al reale pericolo. La vera pressione sugli Usa arriva dalla Cina, tra l’altro l’unico ponte via terra tra Corea del Nord e Myanmar, fornitore e cliente di tecnologie nucleari. Si è creato un cordone militare che arriva fino alla Siberia (e siamo in clima di esercitazioni militari russo- cinesi), alle soglie dell’Alaska. E la Clinton ora parte per l’Africa, dove l’infiltrazione cinese è già massiccia. La sensazione è che tra questo viaggio e i timori espressi su Myanmar il nesso non sia casuale.