Non ci sono dubbi: questa Gmg 2011 è stata l’occasione per Benedetto XVI per un grande annuncio vocazionale. Le sue parole sono in questo senso inequivocabili. In tutti gli interventi risuona infatti forte – e audace per il nostro tempo – la bellezza della risposta a Dio che chiama. Emerge che la vita è tanto più bella quanto più viene accolta e vissuta come vocazione. Emerge che ciascuno di noi, che lo sappia o meno – come ha scritto il Papa per la Veglia dei giovani – non è «frutto del caso o dell’irrazionalità» perché «all’origine della nostra esistenza c’è un progetto d’amore di Dio». Emerge, di conseguenza, che ciascuna vocazione è come una stella che brilla nel firmamento della Chiesa, la quale non può rinunciarvi – è Dio stesso il protagonista di ogni chiamata – né vuole rinunciarvi per essere missionaria nel nostro tempo. Questo «focolare dei figli di Dio» è ricco di ogni vocazione e di ciascuna di esse si arricchisce per il suo servizio: dalla chiamata al matrimonio a quella del sacerdozio e alla vita consacrata, ma anche quella particolare "missione" che gli uomini di cultura credenti vivono nell’università o svolgono nel servizio del volontariato. Un mosaico, che il Papa catechista della vocazione non ha difficoltà a raffigurare in «un ambiente nel quale si pretende di escludere Dio e nel quale il potere, il possedere o il piacere sono spesso i principali criteri sui quali si regge l’esistenza». Ma proprio questo tempo, sembra dire il Papa, ha paradossalmente potenzialità nuove da valorizzare: ci sono giovani «interessati a Cristo o in cerca della verità»; c’è chi ha udito «la voce di Dio, forse solo come un lieve sussurro»; altri «percepiscono che Egli è la risposta a molte delle loro inquietudini personali». Il segreto, per Benedetto XVI, è prima di tutto scoprire che «la fede non si oppone ai vostri ideali più alti, al contrario, li eleva e li perfeziona», e poi «esortare i giovani a incontrarsi personalmente con Cristo Amico e così, radicati nella sua Persona, convertirsi in suoi fedeli discepoli e coraggiosi testimoni».Certo, il Papa è anche esigente, come lo è la Parola che annuncia come successore di Pietro. Non fa sconti, perché non può farli. Il matrimonio chiede di «essere coscienti che solo un contesto di fedeltà e indissolubilità, come pure di apertura al dono divino della vita, è quello adeguato alla grandezza e dignità dell’amore matrimoniale»; e nel sacerdozio «dobbiamo essere santi per non creare una contraddizione fra il segno che siamo e la realtà che vogliamo significare». Anche la vita religiosa «davanti al relativismo e alla mediocrità» è chiamata a testimoniare «la consacrazione come un appartenere a Dio, sommamente amato». Il tema vocazionale ritorna prepotentemente, ma non sorprendentemente, anche quando il Papa si rivolge ai professori e ai volontari. Per superare un’obiezione ed evitare un equivoco. L’università, si dice, non è nata per educare; in realtà essa non è fatta per trasmettere semplicemente «tecniche strumentali e anonime, o alcuni freddi dati, usati in modo funzionale», ma in essa i docenti sono chiamati a vivere la loro "missione" divenendo per i giovani «autentici maestri» nella ricerca della verità. Molto fecondo anche il tema vocazionale proposto ai volontari: l’equivoco sta nell’accontentarsi – anche a livello ecclesiale – di giovani che offrono nei nostri ambienti un servizio temporaneo e parziale, pur positivo. Perché, dice Benedetto XVI, non far emergere in loro una domanda sul dono di sé definitivo e totale? Un cambio di marcia che i nostri animatori vocazionali non dovrebbero ignorare. Aiutando a vincere quella "mediocrità" che, agli occhi del Papa, appare oggi un rischio sempre in agguato.