Zimbabwe. Morto Mugabe, volto tragico di tiranno
È definitivamente uscito di scena, anche per l’anagrafe, l’ultimo dinosauro della politica africana: l’ex presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe. La notizia della sua scomparsa è stata annunciata da Emmerson Mnangagwa, colui che due anni or sono, con un golpe incruento, lo defenestrò da ogni potere.
Esponente di spicco dell’etnia bantu shona zezuru, Mugabe ha rappresentato l’anello di congiunzione tra la prima generazione, ormai defunta, dei 'presidenti padroni' africani – personaggi del calibro del congolese Mobutu Sese Seko, del gabonese Omar Bongo, o del togolese Eyadéma Gnassingbé – e quelli della seconda, ancora al potere, come l’ugandese Yoweri Museveni, il camerunese Paul Biya o l’eritreo Isaias Afewerki. Da questo punto di vista non è esagerato affermare che il delirio di onnipotenza espresso da Mugabe, nei suoi 37 anni di regime (dal 1980 al 2017), abbia rappresentato, nel panorama geopolitico dell’Africa sub sahariana, un esempio emblematico dei vizi storici delle élite postcoloniali: l’oligopolio economico e la disomogeneità nella redistribuzione delle risorse nazionali su base clientelare o nepotistica.
Sta di fatto che volendo rileggere la storia di Mugabe, viene fuori in dissolvenza un passato, quello del Novecento africano, segnato da grandi ambiguità. Da una parte egli, a modo suo, attraverso un’indole carismatica, fu capace di galvanizzare le masse affermando il desiderio di un riscatto nei confronti del colonialismo britannico. Salì al potere, dopo 20 anni di lotta politica quasi sempre clandestina, quando venne proclamata ufficialmente la Repubblica dello Zimbabwe sulle ceneri dell’ex Rhodesia, (al principio come primo ministro e dal 1987 come presidente).
Dall’altra parte, fin dall’inizio dell’esercizio del potere, fece di tutto per eliminare, anche fisicamente, chiunque potesse ostacolare la sua ascesa politica. Basti pensare alla famigerata Quinta Brigata, addestrata da militari nordcoreani, impiegata da Mugabe nella regione del Matabeleland per soffocare i seguaci del rivale Joshua Nkomo. Si stima che tra il 1983 e il 1987, durante il massacro denominato in codice Gukurahundi, persero la vita 20mila civili appartenenti all’etnia minoritaria Ndebele.
Secondo il registro dei battesimi, Mugabe nacque il 21 febbraio del 1924, nei pressi della missione cattolica di Kutama, allora affidata alla guida pastorale della Compagnia di Gesù. Per un ventennio fece l’insegnante, abbracciando nel tempo diverse ideologie, dal marxismo al leninismo e al maoismo, combattendo contro il regime segregazionista di Ian Smith. Nel 1949, ottenuta una borsa di studio, frequentò l’università sudafricana di Fort-Hare, dove si laureò in scienze politiche, entrando in contatto con esponenti del comunismo afro- antisegregazionista e dell’indipendentismo indiano.
Ne scaturì una militanza che costò a Mugabe dieci anni di prigione tra il 1964 e il 1974. Fu in questo periodo di isolamento che ottenne due diplomi di laurea per corrispondenza, a cui se ne aggiunsero successivamente altri quattro. Nei primi anni di leadership investì energie nella scolarizzazione della popolazione e in generale nel welfare. Lo Zimbabwe – a scanso di equivoci – nei primi quindici anni della presidenza Mugabe risultò essere il Paese africano col più alto tasso di alfabetizzazione, l’85% circa degli adulti. Riuscì addirittura a conquistare la simpatia degli ex coloni, auspicando una riconciliazione tra afro e bianchi dopo una sanguinosa guerra civile costata la vita ad oltre 30mila persone di cui il 90% autoctone.
Purtroppo, la sete insaziabile di potere lo portò a mantenere il comando del Paese con ogni mezzo, e dalla fine degli anni 90 fece precipitare nella miseria la stragrande maggioranza della popolazione. L’imposizione violenta della sua disastrosa riforma agraria – che consegnò le terre ai reduci della guerra di liberazione quasi azzerando la produzione agricola – mise in ginocchio l’intero Paese. «Mugabe pensava di essere speciale, diverso e nato per essere grande – ha scritto di lui la giornalista Heidi Holland, che conobbe e sostenne Mugabe, prima di essere costretta a fuggire dallo Zimbabwe nel 1982 – ma lo ricorderemo soprattutto come un tiranno».