Lotta alla mafia e alla corruzione. Mostro a due facce
«La mafia diventerà più crudele e disumana. Dalla Sicilia risalirà l’intera Penisola per forse portarsi anche al di là delle Alpi». Così scriveva don Sturzo nel 1900. La frase, ahimè profetica, del sacerdote siciliano, viene alla mente leggendo i primi lanci di agenzia sul maxi blitz contro le infiltrazioni della ’ndrangheta in Lombardia. «Vogliono mettere in piedi San Luca (...) San Luca a Milano... al nord», così uno degli arrestati parlava delle mire espansionistiche delle cosche del paese aspromontano noto per una terribile faida. Dopo 117 anni le mafie sono ormai sempre più stabili e forti anche al nord. Quanto tempo perso, in modo colpevole, a negare quello che don Sturzo vedeva già chiaramente. Quanti “qui la mafia non esiste” abbiamo ascoltato. Mentre la mafia cresceva, si espandeva, faceva affari, inquinava politica ed economia, trovando purtroppo interessate alleanze e facili, ciniche collusioni. In silenzio, senza violenza, senza morti.
Lo aveva ancora una volta capito bene il fondatore del popolarismo italiano. «La mafia, stringe nei suoi tentacoli giustizia, polizia, amministrazione, politica; quella mafia che oggi serve per domani essere servita, protegge per essere protetta, penetra nei gabinetti ministeriali, nei corridoi di Montecitorio, viola segreti, sottrae documenti, costringe uomini, creduti fior d’onestà, ad atti disonoranti e violenti. È la rivelazione spaventevole dell’inquinamento morale dell’Italia, sono le piaghe cancrenose della nostra patria». Fanno venire i brividi queste parole si Sturzo leggendo dell’arresto del sindaco di Seregno, accusato di corruzione, di aver favorito un imprenditore legato ai clan, ottenendo in cambio sostegno elettorale. Corruzione e mafia. Anzi corruzione come strumento privilegiato delle mafie, soprattutto al Nord.
Criminalità politica ed economica vanno a braccetto e favoriscono la criminalità organizzata. Mafia e corruzione due facce della stessa medaglia. Ce lo ripetono in continuazione i magistrati più impegnati nella lotta alle mafie, ce lo confermano le tante inchieste che ormai in tutte le Regioni fanno emergere questo patto scellerato.
«L’amministrazione intera di Seregno era supina a un imprenditore contiguo alla ’ndrangheta», hanno affermato gli investigatori spiegando l’operazione di ieri. È la «politica deviata, piegata a interessi di parte e ad accordi non limpidi», come l’ha definita papa Francesco nel recente incontro con la Commissione parlamentare antimafia, purtroppo silenziato da gran parte del sistema mediatico. Eppure quelle parole erano di una fortissima attualità. Il Papa “sta sulla notizia”, come si dice in gergo giornalistico. L’operazione di ieri, se ce ne fosse bisogno, ne è la conferma. E allora, è stato il forte invito di Francesco, «diventa decisivo opporsi in ogni modo al grave problema della corruzione che, nel disprezzo dell’interesse generale, rappresenta il terreno fertile nel quale le mafie attecchiscono e si sviluppano». Serve, dunque, una politica che «sente la lotta alle mafie come una sua priorità, in quanto esse rubano il bene comune, togliendo speranza e dignità alle persone». E perciò la corruzione «va combattuta con misure non meno incisive di quelle previste nella lotta alle mafie».
Come non pensare al Codice antimafia approvato dalla Camera nel 2015, modificato dal Senato nel luglio 2017 e da lunedì in aula a Montecitorio per il via libera definitivo, tra resistenze e continui tentativi di depotenziare proprio le norme sulla corruzione. Norme molto importanti, perché andrebbero a incidere efficacemente sugli affari, sui beni, sui patrimoni, «sull’idolatria del denaro e la mercificazione della dignità umana» come dice il Papa. Insomma sul cuore di questo patto scellerato. La corruzione, anche quella mafiosa, ha la faccia pulita, ha gli abiti griffati di politici, imprenditori, funzionari pubblici, liberi professionisti. Ha anche cognomi del Nord. Non uccide il corpo, ma la libertà, la dignità, la democrazia.
Ben vengano le nuove norme, senza altri tentennamenti, ma non basteranno se non saranno incarnate in uomini che perseguano davvero il bene comune e non il proprio bene. Come Pio La Torre, Piersanti Mattarella, Marcello Torre, Angelo Vassallo che hanno sacrificato la vita per il bene della comunità, per aver detto no a mafie e corruzione. Come il giovane sindaco di Taurianova, Fabio Scionti, recentemente vittima di un grave attentato. Come l’ex vicesindaco di Mondragone, Benedetto Zoccola, che porta sul suo corpo i segni indelebili della violenza camorrista. Amministratori del Sud, esempi da imitare. Anche al Nord. Si può e si deve, e non sarà mai troppo presto.