Opinioni

Editoriale. Mosca sull'arma atomica: lecita per difendersi

Fulvio Scaglione mercoledì 20 novembre 2024

E così la Russia cambia la dottrina nucleare: da adesso, l’uso dell’arma atomica è lecito per difendere la sovranità nazionale anche quando questa sia minacciata da un Paese non nucleare ma appoggiato da uno o più Paesi nucleari. Il decreto era pronto da tempo, ma la firma di Putin è arrivata nelle ore successive alla notizia che l’amministrazione Usa aveva deciso di concedere all’Ucraina il diritto a usare i missili a lunga gittata Atacms fino a 300 chilometri dentro il territorio russo. Una firma, quindi, che vale anche come risposta alla decisione di Joe Biden, a sua volta motivata dall’arrivo delle truppe nordcoreane nella regione di Kursk.
In questi giorni, le preoccupazioni per l’andamento della guerra si intrecciano alla concitazione del cambio di presidenza negli Stati Uniti. E quindi portano allo scoperto le ambiguità e i non detti di un conflitto che ha ormai superato i mille giorni di durata. Appena il veto Usa è stato rimosso, gli ucraini hanno lanciato cinque Atacms sulla regione russa di Bryansk. Cosa che non avrebbero potuto fare se i sistemi d’arma e i tecnici (occidentali?) capaci di usarli non fossero già stati pronti. Il che combacia con quanto dichiarato da Josep Borrell, l’alto commissario Ue alla Difesa. Parlando proprio dei missili e delle autorizzazioni, Borrell ha detto che «alcuni Stati membri lo stanno già facendo, altri lo stanno facendo senza dirlo», auspicando peraltro che tutti i Paesi Ue seguano l’esempio degli Usa. E a proposito di ambiguità: quale calcolo politico avrà spinto il cancelliere Scholz, che ancora nega agli ucraini i suoi missili Taurus (ben più potenti degli Atacms), a contattare Vladimir Putin dopo due anni di silenzio?
Il Cremlino, per parte sua, ha quasi snobbato l’ultimo attacco ucraino. Preferisce prendersela con la Nato, dicendo che solo gli uomini dell’Alleanza hanno le competenze per usare certe armi e che, di conseguenza, è la Nato a colpire la Russia. Sembrano sdegnati, anche se la Russia usa quei missili quasi tutti i giorni, ferendo anche le più lontane regioni occidentali dell’Ucraina.
Su tutto aleggia la parola “escalation”, ovvero: quella cosa che tutti dicono di voler evitare anche se, per tutti questi mille giorni, le famose linee rosse si sono spostate sempre più avanti. Un discorso che riguarda gli aiuti militari all’Ucraina (abbondanti ma pieni di condizioni e restrizioni) e che, evidentemente, ha a che fare con una certa delusione per i risultati sul campo e l’esito non decisivo delle sanzioni anti-russe. Mosca, al contrario, di limiti se n’è dati pochi e ha cominciato assai presto ad agitare lo spettro dell’arma nucleare fino, appunto, a cambiarne la dottrina d’impiego.
Dal punto di vista teorico lo scostamento rispetto al passato è notevole. Prima l’impiego della bomba atomica era ammesso solo come risposta a un attacco con armi nucleari o di distruzione di massa, chimiche e biologiche. Mosca, inoltre, nel 1995 ha firmato, con le altre potenze nucleari, l’impegno a non usare la bomba contro i Paesi non nucleari e non alleati a potenze nucleari che abbiano aderito al Trattato di non proliferazione nucleare. Condizioni che l’Ucraina rispetta, avendo tra l’altro consegnato proprio alla Russia le atomiche sovietiche ereditate dal crollo dell’Urss.
Quando si parla di “escalation”, quindi, la domanda è una sola: davvero la Russia userebbe bombe atomiche, sia pur tattiche, in Ucraina? Sono molti coloro che giudicano le minacce di Putin non più di un bluff. Gli ucraini per primi, che temono un disimpegno dell’Occidente. E con loro molti politici europei, dal Baltico alla Gran Bretagna. Più prudente la Polonia, che costruisce rifugi e offre agli Usa la disponibilità a ospitare armamenti nucleari. Pragmatica la Svezia, che ha distribuito a cinque milioni di famiglie opuscoli con le istruzioni in caso di attacco atomico.
Però qui non si parla di una partita a carte. Al 99,9% quello di Putin è un bluff. Ma che fare con il residuo, terribile 0,1%? È una domanda che non prevede risposte certe ma solo timori. E che arriviamo a farci proprio quando una ricerca Gallup certifica che, per la prima volta dal 2022, la maggioranza degli ucraini (52%) chiede l’avvio di un negoziato di pace. Su questo conta il Cremlino, le sue speculazioni sono evidenti. Ma non bastano a cancellare le incognite su ciò che un proseguimento della guerra potrebbe comportare. Per gli ucraini in primo luogo - «Dio chiederà conto delle lacrime sparse in Ucraina», ha scritto ieri il Papa - e poi per tutti.