Per vittime e testimoni antimafia. La morte di Riina: ecco i nomi giusti oggi da dire
Un collage con le foto di alcune delle vittime di mafia
Il signore della morte è morto, come tocca in sorte a tutti gli esseri terreni. E non ha fatto un gran vita, perché proprio della morte aveva fatto la sua vita. Non c’è niente di grande in quello che ha fatto, se non la ferocia e la disumanità. Non era un anti-eroe. E non era l’anti-Stato. Era solo il signore della morte, Salvatore Riina. “Totò” forse per i suoi amici, o per i sottoposti, o per i tanti che gli ubbidivano perché ne avevano paura. Temevano la sua lucida, implacabile, sconfinata capacità di fare il male. Il Male. Per tutti gli altri era e deve restare Salvatore Riina, condannato in via definitiva a 26 ergastoli. Niente diminutivi né soprannomi, per favore, se non altro per rispetto dello Stato, di tutti i cittadini che credono nella legalità e nel diritto e, soprattutto, delle tantissime vite che Riina ha falciato. Non si diminuisce l’orrore, non ci si scherza.
E non ci sono sentenze da emettere, oggi. Quelle della giustizia umana sono infatti già passate in giudicato e non sono in discussione. Quella del Giudice supremo spetta soltanto a Lui e non ci è dato di conoscerla. Si può affermare, invece, che Riina è vissuto nel buio e nel buio è morto. Si dice che abbia portato con sé tanti segreti, soprattutto quelli sui rapporti tra la mafia siciliana e pezzi di istituzioni. È probabile. Ma anche se fosse, non sarebbe certo stato lui a rivelarli. Senza contare che quelli come lui non dicono mai la verità. Non sanno cosa sia. Forse perché non sanno distinguerla dalla menzogna. Parlano del male come se fosse il bene e viceversa. In un colloquio, intercettato, che ebbe in carcere con uno dei suoi figli nel 2010, disse: «Nella storia, quando poi non ci sono più, voialtri dovete dire e dovete sapere che avete un padre che non ce n’è sulla terra, non credete che ne trovate, un altro non ce n’è perché io sono di un’onestà e di una correttezza non comune». Quel figlio è anche lui, da anni, all’ergastolo. Mentre una delle sue figlie, ieri, per salutare il padre ha pubblicato su Facebook la foto di una rosa. Ma l’immagine è in bianco e nero. E la rosa appare nera.
Nella luce, al contrario, sono vissuti molti di coloro che per la spietata volontà di Riina hanno lasciato questa terra. Non sono più con noi, eppure vivono. Sono magistrati, poliziotti, carabinieri, giornalisti, politici. Italiani, con la “i” maiuscola. Sono loro gli eroi, lo sono diventati vivendo da anti-eroi, facendo il loro lavoro ogni giorno, fino in fondo, pagando il prezzo più caro, non tradendo la loro coscienza.
Si chiamano Giovanni, Paolo, Cesare, Rocco, Gaetano, Ninni, Boris, Carlo Alberto, Mario, Piersanti, Pio, e tanti, tanti, tanti altri. Troppi. Anche per questo la loro luce è grande e vive, vivrà, nei cuori e nelle menti dei giusti di oggi e di domani, che continueranno a difendere la legalità e la comunità dalla prepotenza parassitaria di tutte le mafie.
Pure delle mafie più nuove, qualunque sia il luogo che hanno deciso di infestare con i loro traffici e con le loro “regole” fuorilegge. Quelle che minacciano i giornalisti e, se capita, li picchiano. Quelle che fanno finta di fare del bene ad alcuni e invece mettono i poveri contro altri poveri, inquinano l’economia con i loro soldi sporchi di sangue e di usura, ingrassano con la droga che rovina famiglie e generazioni. Forse pensano di poter “crescere”, di diventare mafie potenti e temute come quella di Riina. Speriamo di no. In ogni caso, resteranno al buio. E non riusciranno a spegnere quella luce.