Morire di diversa non capita bellezza. Il terribile addio di una giovanissima musicista
Per togliere ogni dubbio, la cronaca che ieri dava la notizia che la quindicenne studentessa di musica finita sotto un treno in realtà ci s’è buttata, ripeteva all'inizio e alla fine dell’articolo la prova regina: nel filmato della videosorveglianza si vede la ragazza che 'salta' addosso al treno, intenzionalmente. Dunque, ahimè, è un suicidio. Il suicidio è sempre un gesto oscuro, anche il suicida è combattuto fra il sì e il no fino alla fine. Ma una quindicenne che rinuncia alla vita butta via qualcosa che non sa cos’è, non ne ha la minima idea.
Quando capisce che hanno scoperto che l’assassino è lui, e che gli toccherà una lunga galera, Raskòlnikov si lascia sfuggire una frase breve e disperata: «Mi toglierò la vita». «La vita? – risponde il commissario – che ne sapete voi della vita, cosa sapete di quel che vi riserva il futuro?». Se dunque il futuro ha in serbo delle sorprese, che possono essere confortanti anche per un assassino che deve scontare una lunga pena, cosa si può dire a una ragazza di 15 anni, per di più studentessa, per di più di musica? La sua vita era piena di senso, ma lei non lo vedeva, non lo capiva. Gli amici dicono che quando suonava si trasformava, la musica era la sua beatitudine.
E il canto, amava cantare brani d’opera. I suoi strumenti preferiti erano l’oboe e il pianoforte. Sono due strumenti che creano dipendenza, quando li hai sentiti vorresti subito ri-sentirli. Un film di Polanski si chiama 'Il pianista', e la scena madre è quella in cui l’ebreo pianista suona il pianoforte nella Varsavia ridotta a macerie, e la musica si spande tra muri squarciati, tetti abbattuti, strade deserte, cani zoppi: il paesaggio desolato è la vita, la musica è l’arte che la redime. Non sappiamo niente di questa quindicenne, ma certamente viveva, in nuce, la contraddizione tra gli amici che la deridevano perché era grassa e l’arte che la confortava, le gite (umilianti) e l’oboe (esaltante).
C’è un film in cui l’oboe la fa da padrone, ed è 'Anonimo veneziano', storia di un musicista morente di cancro. L’oboe è il riscatto dalla morte. Non può esserci morte, dove suona l’oboe. Scrivo queste cose non per esaltare la potenza dell’arte, ma per far capire quanto è potente la cattiveria dei falsi amici, che cercano i tuoi punti deboli per colpirti proprio lì. «Gli amici la prendevano in giro per il suo peso» dice una sua compagna. È quel 'prenderla in giro' che l’ha uccisa, è crudele dirlo e mentre lo dico me ne pento, ma quando un ragazzino o una ragazzina di questa età (fragilissima) vien deriso per il suo aspetto fisico e si deprime fino a suicidarsi, quel suicidio è moralmente un omicidio.
Le parole sono armi, feriscono e fanno morire. Specialmente le parole che separano e isolano, perché gli adolescenti hanno un’idea del gruppo come vivere insieme, non restare indietro: se uno fa un’esperienza, subito gli altri pensano a come farla anche loro. Questa è l’età dei selfie di gruppo: un gruppo è bello perché è un insieme di bellezze, se nel gruppo c’è un non-bello perché è grasso non solo è brutto lui ma rende brutto tutto il gruppo, e rovina la fotografia. Le cronache dicono che questa ragazza non voleva partecipare alle gite scolastiche, e questa poteva essere la ragione. Un’amica dice che «non amava farsi fotografare e pubblicare le sue foto sui social», mentre adorava cantare l’opera, aveva una bella voce.
Chi capiva questo, però, doveva anche capire quali erano le correzioni. Questa era una ragazza ipersensibile in mezzo ad amici ipo-sensibili. Teneva un diario segreto, nella penultima pagina chiede scusa ai genitori, e nell’ultima scrive semplicemente: «Addio». Credo che si rivolga agli amici. Mi permetto d’interpretare quell’addio, significa: «Non mi meritate».