Opinioni

Il direttore risponde. Missioni di pace: via le lenti deformanti

mercoledì 26 maggio 2010
Caro direttore,sono di Foligno, la città di Cristina Buonacucina ferita in Afghanistan nell’agguato in cui sono stati uccisi due soldati italiani. Non si può dire che i nostri soldati sono morti per noi, per la nostra sicurezza e per il bene degli afghani; la pace non si può portare senza il consenso del popolo afghano e i soldati della Nato subiscono gli attacchi di tutta la popolazione per la quale siamo degli invasori occupanti. Facciamo loro del bene con ospedali e scuole, ma con i posti di blocco e gli attacchi con gli aerei telecomandati facciamo strage di civili, spendiamo 23 miliardi di euro per esercito e armi; marciamo per la pace e poi Avvenire ricorda i militari morti come uomini sacrificatisi per noi. La loro morte è stata inutile ed ingiusta; sono morti a 25 anni lontano da casa, lasciando soli fidanzata, famiglia e amici solo per interessi economici e per porre rimedio a un pasticcio in un Paese retto da un presidente corrotto. Io ho 22 anni e mi chiedo: la mia sicurezza che cosa guadagna da queste cose? Togliere soldi all’università, alla sanità, alle pensioni è sbagliato, perché non li togliamo alle "missioni di pace"?

Giacomo Camilli, Foligno (Pg)

Caro direttore,ho letto con interesse le motivazioni di fondo contenute nella lettera di don Renato Sacco (pubblicata sabato 22 maggio) e la sua cortese risposta che condivido. Proprio nello stesso giorno, in seconda pagina del nostro Avvenire, viene riportato l’editoriale di Luigi Geninazzi «Primavera blanca a Cuba c’è un sogno». Perciò domando a don Sacco: quale posto dovrebbe occupare il problema dei diritti umani a Cuba nella mente di coloro che guardano troppo solo ai cattivi occidentali (Usa in testa) responsabili di tante violenze presenti, mentre spesso sorvolano su quanto avviene da decenni a Cuba e in tutti gli altri paesi vetero comunisti (Cina, Vietnam, Corea del Nord, ecc.)? Perché si può e si deve sempre lavorare per la pace (e per Cristo che ne è il vero Re), ma ciò dovrebbe avvenire in ogni contrada senza discriminazioni ideologiche. Forse che la morte di Orlando Zapata a Cuba, deceduto dopo 85 giorni di vero sciopero della fame per i diritti umani, è meno tragica del sacrificio in Afghanistan dei nostri due alpini?

Giovanni Martinetti, Ghemme (No)

Capisco le sue domande, caro Camilli, e condivido il suo dolore per gli errori – sempre drammatici – compiuti dalla missione che sotto l’egida dell’Onu e il comando della Nato sta operando in Afghanistan. Ma devo anche dire che non è vero che i soldati della missione «subiscono attacchi di tutta la popolazione» (i taleban non sono affatto "tutto" l’Afghanistan e se tornassero a dominarlo sarebbe terribile per la popolazione locale). E soprattutto non è vero che i nostri giovani alpini siano morti «per interessi economici». Ogni morte violenta è ingiusta, ma sostenere quello che lei sostiene a questo proposito è ancora più ingiusto. Non lo merita chi è caduto; non lo merita chi, in divisa, continua a sacrificarsi per la causa della pace nella sicurezza. Il mondo ci riguarda sempre e dobbiamo riuscire a guardarlo e a vederlo per quello che è non con lenti deformanti, caro amico. Noi di Avvenire ci proviamo. E il lettore Martinetti, nel darcene atto, ci ricorda che le lenti più deformanti di tutte sono quelle ideologiche. La pace – lo insegna la storia, lo testimonia la Chiesa – si fonda sulla giustizia, sulla libertà e sulla verità, altrimenti non è pace. Un caro saluto a entrambi.