Il direttore risponde. «Niente giustifica il “furto” evasione» Perciò serve impegno a viso aperto
Caro direttore,
scrivo in merito alla lettera di un lettore comparsa su “Avvenire” di mercoledì 7 maggio («Il commercialista mi dice: sepàrati». Il frutto della follia fiscale) e alla sua risposta, per sottoporle uno spunto di riflessione in più che credo sia importante. Condivido senza riserve la considerazione espressa riguardo al fatto che la nostra società è arrivata a un punto di pressione fiscale pesantissima, alla quale peraltro non corrispondono servizi efficienti al cittadino, e che in questo le famiglie non godono di molti vantaggi, né di forme di sostegno del reddito serie, e non posso che auspicare anch’io, con forza, un reale cambio di rotta a favore di chi ha davvero bisogno (famiglie numerose in primo luogo); quello però che a mio parere scaturisce dalla lettera citata, è qualcos’altro, è un segno deprimente di malcostume – molto italico – che va condannato in ogni caso. Ciò che il commercialista ha consigliato al lettore, giustamente scandalizzato, in realtà è un qualcosa che si sente fare da tante persone (regolarmente e felicemente sposate) per aggirare le normative fiscali. Io credo sia ragionevole che in caso di separazione (vera) la persona paghi singolarmente di meno rispetto a chi vive insieme al proprio coniuge con il quale mette le proprie risorse in comune, con i conseguenti vantaggi della vita insieme; quello che non è affatto ragionevole è che ci siano professionisti che suggeriscono di aggirare la legge fiscale (fingendo lo stato di separati o in altro modo) e che così, per colpa di tutti quelli che lo fanno, si finisca un po’ tutti per pagare troppo. Come osservò l’allora premier Monti, chi non paga le tasse, «ruba nelle tasche dei contribuenti onesti», per questo dobbiamo batterci sempre – soprattutto come cristiani – per il rispetto della legalità, sempre, anche quando fosse ingiusta. Naturalmente… senza perdere la speranza di cambiarla! Un caro saluto
Gina Lione, Roma