Riflessione e un paio di proposte . 131 miliardi da usare bene
In molti dibattiti pubblici un tema ricorrente sollevato da una parte non trascurabile di interlocutori riguarda il ruolo del "signoraggio" delle banche centrali. Si tratta di un tema oscuro ai più ma con effetti ed impatto molto significativi sulla vita economica, soprattutto in uno scenario nel quale il ruolo delle banche centrali diventa sempre più importante. Le banche centrali si trovano oggi ad avere il potere immenso e decisivo per le sorti dell’economia di creare moneta.Nella visione monetarista ortodossa si tratterebbe di una funzione che non è, poi, così creativa e dove la discrezionalità di chi la esercita si traduce in una potenza che può produrre più danni che benefici. Secondo i monetaristi infatti si deve stampare quella quantità di moneta che, moltiplicata per la velocità degli scambi produce una massa corrispondente al volume di merci e servizi creati dall’economia. Stamparne di più equivarrebbe soltanto a creare inflazione. La realtà della globalizzazione ha profondamente modificato il contesto perché, in presenza di una concorrenza dei paesi Poveri ed emergenti e in mercati aperti, l’eccesso di moneta più difficilmente si traduce in aumento dei prezzi. E se la globalizzazione ha un costo sociale (quello di dover competere con paesi a bassissimo costo del lavoro) perché non profittare di questo suo dividendo monetario? Le banche centrali hanno iniziato a capirlo e stanno producendo, direttamente o indirettamente (attraverso finanziamenti a basso costo alle banche o con operazioni di acquisto di titoli sul mercato aperto) molta più moneta di quanto vorrebbero i monetaristi. Questa moneta in eccesso ha prodotto un impatto sull’inflazione assolutamente nullo (anzi non eliminando il rischio di deflazione) e un effetto misurabile e significativo sulla riduzione della disoccupazione e sulle possibilità delle banche di rimettere in sesto i loro bilanci compensando la distruzione di moneta bancaria determinata dalle crisi finanziarie.Ecco spiegato l’immenso aumento di potere delle banche centrali ed ecco riproposto il tema, fondamentale, del loro rapporto con i governi. Per anni il pendolo è andato in direzione dell’autonomia e dell’indipendenza. I banchieri centrali sono stati infatti visti dalla letteratura economica come saggi tecnocrati, sovrani illuminati le cui scelte lungimiranti sarebbero state messe a rischio dalla prossimità con la politica che avrebbe naturalmente spinto all’aumento del debito pubblico e alla creazione di inflazione. L’altro lato della medaglia però è che si è creato un organo tecnocratico con un potere enorme di fatto sottratto (o almeno lontano) dal controllo democratico dei cittadini.
Dentro questo problema più generale di controllo democratico della banca centrale troviamo come in una matrioska quello del signoraggio. Il capitale di Bankitalia è posseduto dalle maggiori banche italiane che ne sono di fatto proprietarie e questo è un’anomalia in quanto, come ha acutamente scritto Giovanni Siciliano su «LaVoce.info», un istituto di diritto pubblico che sfrutta in regime di monopolio un bene pubblico come il diritto di stampare moneta è controllato da istituti privati. A chi sottolinea che regole stringenti di gestione impediscono conflitti d’interesse va obiettato che in realtà i conflitti d’interesse ci sono. Il nodo nevralgico è che ogni anno il signoraggio (ovvero l’attività di creare moneta a costo zero se eccettuiamo quello modesto della sua fabbricazione per "rivenderla" alle banche in cambio di un interesse) produce utili tra i 7 e gli 8 miliardi. E la quota di utili da distribuire allo stato e quella da accantonare a riserve è decisa discrezionalmente dal Consiglio Superiore controllato dalle banche private azioniste.I maligni potrebbero osservare a questo punto che, nel tempo, il Consiglio ha optato per un accantonamento di riserve eccessivo che ha fatto crescere il valore delle loro quote azionarie e ridotto i trasferimenti allo Stato.Tanto che oggi Bankitalia si trova con un volume totale di riserve di più di 131 miliardi di euro dopo aver distribuito per anni, come osserva sempre Siciliano, utili allo stato ben inferiori rispetto a quelli distribuiti da Banque de France o dalla Bundesbank.
Perché una banca centrale che non ha più il ruolo del passato deve detenere tutte queste riserve? In realtà, svolge un’attività che di fatto è ormai priva di rischio (sia se la consideriamo separatamente, sia se consolidiamo il bilancio con la Bce che ha sempre il potere di colmare propri eventuali buchi con un’attività, la creazione di moneta, che è in utile per definizione)? La loro smobilitazione potrebbe ridurre il debito pubblico di più dell’8 percento del Pil (previo modesto rimborso delle quote agli azionisti) e la destinazione degli utili annuali andrebbe, in totale vigilanza, allo Stato e potrebbe ridurre di qualche importante decimale il rapporto deficit/Pil.
Oppure le riserve potrebbero essere utilizzate come fondi di garanzia per l’emissione di obbligazioni volte al finanziamento di investimenti in infrastrutture, come auspicato più volte in passato da autorevoli colleghi (faccio solo il nome di Quadrio Curzio). Molto meglio che riconoscere alle banche azioniste l’aumento del valore delle loro quote da sottoporre poi a tassazione.