Flussi migratori nel mondo. Migrazioni, perché l'Italia è la nuova Terra Promessa
Le decine di migliaia di migranti arrivati in Europa tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016 hanno contribuito a creare un’immagine indelebile di come le crisi umanitarie – in quei mesi alimentate dalla guerra civile in Siria – siano un potente motore per le migrazioni. Eppure, anche se dovessero cessare i conflitti, nei prossimi anni e nei prossimi decenni (quindi sul breve e medio periodo) le migrazioni non solo non finiranno affatto ma saranno potentemente spinte dai fortissimi differenziali della crescita demografica – e quindi dell’incremento della forza lavoro – tra il Nord e il Sud del Mediterraneo. Nell’ultimo quarto del XX secolo i principali attori di questo dramma globale rappresentato dalle migrazioni sono stati il Messico e gli Stati Uniti. Ma adesso l’emergenza si è spostata in Europa e in particolare in Spagna e Italia, i due Paesi più vicini al Nord Africa. È qui infatti che si dirigono le ondate migratorie dall’Africa sub-sahariana sostenute dai più alti tassi di incremento demografico del mondo, dagli effetti delle guerre, dalle strategie di vero e proprio genocidio attuate da organizzazioni come Boko Haram e dalla desertificazione che cresce a motivo dei duri effetti del cambiamento climatico. È insomma il Mediterraneo, il nuovo Rio Grande della Storia e l’Europa (non gli Stati Uniti) la nuova Terra Promessa per milioni di persone.
Sono queste le conclusioni di uno studio che Gordon Hanson e Craig McIntosh due professori dell’Università della California, San Diego, hanno pubblicato sull’ultimo numero 2016 del Journal of Economic Perspectives, dell’American Economic Association. Si tratta di una ricerca che aiuta a capire perché la risposta dei populismi al problema delle migrazioni non solo è immorale, ma è anche completamente inutile. Così come non è possibile ridurre a problema di ordine pubblico e di polizia un fenomeno del genere. Semmai, compito della politica italiana ed europea sarà quello di individuare risposte di carattere strutturale sia in Europa che in Africa. Il contesto europeo – spiegano Hanson e McIntosh – assomiglia moltissimo a quello degli Stati Uniti di trent’anni fa. Il tasso di fertilità europeo è in drastico declino già dagli anni Settanta, e il numero dei residenti in età lavorativa anche. La maggior parte dell’Europa avrà una popolazione addirittura negativa nelle classi di età tra gli 0 e i 14 anni, a partire dal 2040. In Nord Africa e Medio Oriente invece i giovani che cercano un futuro, un lavoro stabile e con salari migliori è enormemente cresciuto. Ma è soprattutto l’Africa subsahariana (una regione con ancora più bassi redditi del Medio Oriente), che ha la crescita della popolazione maggiore del mondo.
Naturalmente i due professori americani precisano che dato il ruolo prominente degli choc economici, dei conflitti politici e dei disastri naturali nel muovere i flussi migratori, fare previsioni sicure è azzardato. Ciò non toglie che il loro studio mostri non sono trend realistici, ma reali. Cioè – come hanno scritto – esistono «le condizioni per l’Europa occidentale di dover far fronte a una forte pressione demografica dall’Africa per decenni». In base alle elaborazioni sui dati delle Nazioni Unite del Centro Studi della Bnl, ad esempio, la Nigeria nel 2040 arriverà ad eguagliare il numero dei residenti dell’intera Area euro. A ciò si aggiunge, la guerra e l’instabilità provocata nel Paese dagli estremisti islamici di Boko Haram. La Nigeria – come il Messico con gli Stati Uniti – non ha peraltro un confine orogeografico naturale che lo separa dalla Libia. Il confine è solo una distesa naturale aperta. E questo spingerà milioni (e non più decine di migliaia) di persone a migrare. Sì, milioni. Non deve sembrare un’esagerazione. Saranno milioni i migranti verso l’Europa nei prossimi anni, secondo Paul Collier, professore di Economia e Politiche pubbliche alla Blavatnik School of Government dell’Università di Oxford, uno dei massimi esperti mondiali sul problema delle migrazioni e autore dello studio «Exodus», ritenuto da Robert D. Putnam «una lettura imprescindibile per chiunque voglia approfondire il tema» (pubblicato in Italia da Laterza). Exodus, appunto, un esodo che ha una connotazione biblica: la fuga da un continente, quello africano, divenuto, per milioni, invivibile. L’enorme differenziale economico fa il resto. Gli immigrati sono attratti da Paesi che per quanto considerati in crisi economica secondo i nostri standard, vivono in modo incomparabilmente più ricco rispetto a quelli di provenienza. Tanti poveri si muovono verso paesi con sempre meno nativi ricchi.