Dove l'arroganza deve fermarsi. I migranti in piscina, la Messa e la rissa
Cerco di decifrare, nella vicenda di Pistoia, la contaminazione fra la rissa politica scatenata su un bagno in piscina di un gruppo di ragazzi, neri e immigrati, e il proposito dei rissanti di andare alla Messa domenicale, a guisa di adunata o di presidio. Cerco di capire il senso dell’una e dell’altra cosa tenendo ferma la distinzione fra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio. Il punto di incrocio è che in piscina quei ragazzi ce li ha portati un prete.
E allora? Di per sé un tuffo in acqua, un ristoro offerto nella calura d’agosto, è un gesto di ordinaria solidarietà, come se ne fanno mille ogni giorno per fortuna, senza far cronaca, senza far rumore. A dargli rumore, a Pistoia, è stato il network, quando le foto dei ragazzi festanti nell’acqua sono apparse con la frase del prete che le mostrava con l’affettuosa fierezza d’un "compatriota", avverso al razzismo e al fascismo. Razzismo e fascismo sono parole che appartengono a Cesare; entrate nella Costituzione italiana come mali da evitare in radice (il primo in cima al catalogo dell’art. 3 sull’eguaglianza, il secondo nella XII disposizione finale). La reazione di due leader politici è parsa quella, rivelatrice di identità, di rintuzzare l’antirazzismo e l’antifascismo, e i loro seguaci hanno riempito la rete di insulti innominabili; il contrattacco degli avversari politici ha ridato fuoco al dibattito scavalcando l’episodio, e infine è stato riprodotto il problema, ancora incandescente, delle migrazioni del nostro tempo.
È problema che può misurarsi col respiro della grande storia, per chi ha occhi; problema politico di enorme impatto, per chi ha intelligenza; problema sociale e umano irrecusabile, per chi ha cuore. E anche questo appartiene a Cesare. Per l’Italia non è semplice risolverlo. La spinta migratoria reca anche disagi, discordie, paure, emergenze, tensioni che è necessario governare con giustizia, senza mai tradire con prassi crudeli le grandi norme umanitarie che invocano i disperati, i fuggiaschi, i morti di fame, i torturati, i respinti. Il nocciolo è una coscienza civile, è un clima. Se al gesto di sollievo dato a un gruppo di scampati e ospitati si risponde tagliando le gomme delle loro biciclette, non si è più nelle cose di Cesare, ma in quelle di stile mafioso.
Il discorso finirebbe qui, se non ci fosse il risvolto della annunciata presenza alla Messa, bellicosa persino, e non per pregare, ma per «controllare il prete». Con l’arroganza di difendere politicamente non si sa quale proclamata «ortodossia». No, ciò che si celebra nella casa di Dio non appartiene a Cesare, ma a Dio. Nessuna politica può contaminare la Messa, né il mysterium fidei che piega di colpo le ginocchia del prete e del popolo quando il pane divenuto corpo di Cristo viene innalzato. In quell’istante, nella fede, è lo stesso Cristo crocifisso e risorto, innalzato a salvezza di tutti, «per liberare dalla morte i morti».
Per questo, nel cuore di ha un briciolo di questa fede, l’approccio ai migranti è diverso dal catalogo sociopolitico delle difficoltà, delle diffidenze, dei rischi. Ma anche dalle sole regole di Schengen violate, dall’art.10 della Costituzione dimenticato, dalle cose di Cesare che pure mettono al bando il razzismo, dalle ragioni umane. È diverso, perché diversa da tutte le norme e da tutte le parole del mondo è quella definitiva parola di Cristo: «Vi do un comandamento nuovo». Nuovo.