Opinioni

Ombre sulla pur necessaria intesa Ue-Turchia sui rifugiati. I rischi dell'accordo Ue-Turchia sui migranti

Giorgio Ferrari martedì 1 dicembre 2015
La Turchia, impossibile negarlo, è un 'cliente' difficile per tutti. Lo è per  Vladimir Putin – che ha appena disposto una serie di sanzioni economiche e di restrizioni doganali di fronte al rifiuto di Erdogan di formulare scuse pubbliche per l’abbattimento del Sukhoi-24 nei cieli anatolici, ricambiando la rigidità del presidente turco con analoga indisponibilità a rivolgergli la parola al vertice sul clima di Parigi. Così come lo è per la coalizione che si batte contro il Daesh, visto che ha giocato su più tavoli colpendo preferibilmente i curdi invece che i miliziani del Califfato ai quali invece ha con ogni probabilità elargito sostegno finanziario e armi in funzione anti-Assad facendo contemporaneamente qualche affaruccio con i trafficanti di petrolio made in Daesh, e senza trascurare il braccio di ferro che sta conducendo con l’Unione Europea. Quest’ultimo dà la misura della spregiudicatezza di Erdogan e parimenti della scelta obbligata cui è stata costretta l’Europa.È di due giorni fa l’accordo raggiunto al vertice bilaterale Ue-Turchia che prevede un piano d’azione per il controllo dei flussi migratori, volto a trattenere in Turchia (o quantomeno a «ridurne notevolmente e durevolmente il flusso»), rispettandone pienamente i diritti, i rifugiati siriani in fuga dalla guerra civile. La cambiale che Erdogan incasserà per continuare a ospitare 2,2 milioni di siriani ammonta per il momento a 3 miliardi di euro, 500 milioni provenienti dal bilancio comunitario e altri 2,5 miliardi provenienti dagli Stati membri. Cifra definita come «iniziale», lasciando intendere che nel corso del tempo altri finanziamenti saranno possibili, dipende dalle situazioni. Tecnicamente la soluzione è assolutamente commendevole: di fronte a un flusso incontrollato e incontrollabile di migranti, dopo mesi se non anni di sordità e di egoismi nazionali che ponevano l’utile particulare davanti a tutto dimenticando che fra i pilastri etici dell’Unione Europea svetta tuttora il concetto di solidarietà, l’accordo con la Turchia certamente rappresenta un passo avanti. Anche perché, come recita il paragrafo 7 delle conclusioni, «entrambe le parti intensificheranno la loro cooperazione attiva sui migranti che non hanno bisogno di protezione internazionale, impedendo i viaggi verso la Turchia e l’Unione Europea, assicurando l’applicazione delle disposizioni bilaterali di riammissione in vigore e rinviando rapidamente i migranti che non hanno bisogno di protezione internazionale nei rispettivi Paesi d’origine». Qualcuno dirà – anzi, già lo si dice apertamente – che di fatto la Ue preferisce aprire i cordoni della borsa per evitare l’invasione dei migranti siriani, pachistani, afghani. Quel flusso che ha investito la Germania, portando l’opinione pubblica tedesca dall’iniziale ammirazione per il coraggio politico di Angela Merkel a una diffusa preoccupazione. In realtà, non c’è nulla di nuovo e di originale. Già prima di FrauMerkel il cancelliere Schröder pagava lautamente (e con cadenza annuale) i capibastone di certe minoranze slovacche, galiziane e ucraine perché evitassero di assieparsi alla frontiera germanica. Oggi, per fortuna, la sensibilità europea è mutata, anche se a velocità variabile e non allo stesso modo per tutti e il concetto di accoglienza, al netto delle pur diffuse xenofobie ha trovato finalmente asilo fra i Ventotto. Nondimeno, oltre al bonus in denaro, la Turchia reclama una radicale accelerazione del negoziato di adesione alla Ue. Ankara è formalmente candidata dal 1999 e dal 2005 ha avviato i colloqui, sovente interrotti per le ripetute violazioni dei diritti umani e per la mancata osservanza dei criteri che l’Europa esige per l’ingresso di nuovi Paesi membri. E in questo senso il biglietto da visita presentato da Erdogan negli ultimi tempi è assai poco incoraggiante: giornalisti incarcerati con l’accusa di spionaggio per aver svolto un’inchiesta sui servizi segreti turchi, stretta sulla libertà di stampa, sui social network, pene severe e molteplici restrizioni per chi si avventura a criticare il governo, pugno di ferro militare contro i curdi del Pkk. Come ha detto il presidente Ue Tusk, «l’adesione all’Unione prevede che i valori europei siano rispettati anche sul fronte dei diritti umani». Richiesta che accentua la sordità di Recep Tayyp Erdogan sul tema. E in fondo, come si vede, anche quella occidentale.