La socialdemocrazia in Europa/2. Meno popolo e più «bobos»: mutazione al ribasso del Ps
Benoit Hamon, candidato socialista alle presidenziali
Quando le primarie di un vecchio partito ancora al potere sono vinte da un utopista, com'è capitato il 29 gennaio ai socialisti francesi con il trionfo imprevisto dell’outsider e 'frondista' Benoît Hamon, le spiegazioni possibili sono due: il mondo sta cambiando pelle e l’utopista ha molto fiuto, oppure il partito è in crisi. Il lavoro non è forse il perno originario della visione socialista? Ebbene, per il 49enne Hamon, ormai candidato Ps alla poltrona presidenziale assegnata fra due mesi (primo turno, il 23 aprile), quella del lavoro è una crisi cronica: come prevede il futurologo americano Jeremy Rifkin, la robotizzazione e Internet ridurranno i bacini d’occupazione. Dunque, di fronte a questa svolta epocale, meglio inventare una nuova società: solidale, ecologica, agganciata a nuovi assiomi. Da qui, l’asso calato da Hamon alle primarie per spiazzare i rivali: un reddito di cittadinanza di 750 euro mensili previsto per tutti i giovani fra i 18 e 25 anni, come prima tappa verso un’estensione progressiva ad altre fasce.
Già, ma dove trovare le decine di miliardi necessari? Fino all'ultimo, il gran favorito della vigilia, l’ex premier Manuel Valls, ha quasi irriso questa proposta “irrealista”. Tanto più in una Francia dove il debito pubblico tallona ormai in valore assoluto quello nostrano: 2150 miliardi, pari al 97% del Pil transalpino. Ma l’inventivo ex ministro Hamon ha finito per rastrellare il 58% dei suffragi. Indubbiamente, nella gauche, tanti hanno voglia di sognare dietro a colui che promette anche di negoziare una 'moratoria' sui parametri Ue. Ma i politologi si chiedono se quest’imperioso gusto per le novità sia davvero un segno di forza e lungimiranza. Per il momento, non sembrerebbe affatto, in base ai sondaggi che danno Hamon nettamente battuto già al primo turno, dietro al terzetto composto dall’ultranazionalista Marine Le Pen (Front national), dall'arrembante ex ministro senza partito Emmanuel Macron e dal neogollista François Fillon, molto indebolito dal “Penelopegate” (presunti impieghi fittizi di moglie e figli).
La corsa all’Eliseo sembra apertissima. Ma di certo, se i socialisti hanno finito per giocare d’azzardo, è anche per effetto di un quinquennio targato Ps naufragato in un’enorme pozza di delusione. Sempre in carica ma eclissato ormai dai giochi elettorali, il presidente François Hollande è il primo della Quinta Repubblica ad aver rinunciato ad una nuova candidatura. Nei mesi che hanno preceduto il gran rifiuto, i consensi si erano liquefatti come mai prima per un capo dell’Eliseo, nella scia di promesse non mantenute (come la regolamentazione dei mercati finanziari), di fragorosi scandali (come il 'caso Cahuzac', dal nome dell’ex ministro socialista poi condannato per evasione) e soprattutto di misure contestatissime, a cominciare dal 'matrimonio per tutti', ovvero la legge che ha legalizzato nozze e adozioni gay. In proposito, anche Macron, nonostante i trascorsi da consigliere e poi ministro agli ordini di Hollande, ha appena sottolineato che gli sterminati cortei di oppositori alla legge sono stati 'umiliati' dal Ps.
Per molti intellettuali di sinistra delusi dagli anni Hollande, le derive libertarie e gli altri scivoloni traducono pure un fossato crescente fra il partito e la gente. «La questione di fondo è che il Partito socialista non è più un partito popolare», ha strigliato ad esempio lo storico e opinionista Jacques Julliard: «La gauche ha lasciato il popolo partire verso Marine Le Pen, perché non sapeva semplicemente dove condurlo». Sulla questione, Julliard avanza pure che ormai lo zoccolo duro dell’elettorato Ps si è ristretto ai 'borghesi bohème', detti bobos, ovvero gli stipendiati di città sensibili alle questioni ecologiche e irritati dal 'tradizionalismo' del campo neogollista. Altrimenti, come spiegare che la ricca Parigi rappresenti un forte bastione socialista?
A suo modo, anche il programma di Hamon illustra questa svolta. Della vecchia osmosi del Ps con le lotte sindacali restano pallide ombre, mentre prendono rilievo politico i temi legati al benessere e agli stili di vita: costituzionalizzazione dei beni comuni (acqua, aria delle città), qualità dell’alimentazione, attenzione alla 'mobilità dolce' (piste ciclabili, zone pedonali), riduzione del nucleare. Il sociologo Jean-Pierre Le Goff, un tempo intellettuale organico ben in vista della sinistra, ha appena riversato tanta amarezza nel libro La gauche à l’agonie, denunciando una lunga catena di presunti errori e tradimenti che avrebbe condotto il Ps sul ciglio di un burrone: «Al di là dei bei discorsi e delle azioni di facciata, la situazione della gauche in quest’inizio di XXI secolo non è affatto brillante. Dopo essere divenuto il partito dominante a partire dagli anni Ottanta, il Partito socialista è ormai minato da contraddizioni interne che la sconfitta elettorale annunciata potrà solo rafforzare». A dare ragione a quest’analisi è il numero di tesserati Ps, stimato attorno ai 100 mila, ovvero meno della metà rispetto al 2008.
Fra i nodi ideologici irrisolti, figura anche l’atteggiamento verso l’Europa unita, nella scia del referendum del 2005 sulla Carta Ue che spaccò il Ps in due tronconi, favorendo il clamoroso successo finale del 'no' francese. Proprio allora, stracciò la propria tessera Ps un certo Jean-Luc Mélenchon, che oggi guida la gauche radicale di matrice comunista e anticapitalista. Il 'tribuno rosso', ostico rivale nella corsa all’Eliseo, ha appena rifiutato la prospettiva di un’alleanza con Hamon, scagliando frasi sprezzanti: «Non intendo aggrapparmi a un carro funebre».
La socialdemocrazia interpretata dal Ps subisce in effetti la concorrenza frontale e l’ascesa di due ex varianti che sognano di soppiantarla: i liberalsocialisti europeisti alla Macron e i radicali euroscettici alla Mélenchon. Restano certi cromosomi comuni, come l’enfasi sulla ridistribuzione dello Stato, ma i diversi dosaggi auspicati di questa “potenza pubblica” tendono a produrre steccati, come le relazioni Francia-Ue. Si prenda un caso che tocca da vicino l’Italia: l’appetito mostrato da Fincantieri per Stx France, detentrice di ciò che resta degli storici “Cantieri dell’Atlantico” sull’estuario della Loira. Per il campo Macron, la soluzione italiana può rientrare in una logica di concorrenza interna all’Europa. Per Mélenchon, in questi casi, è meglio nazionalizzare. Per il Ps, la giusta strada è intermedia: sì a Fincantieri, ma rafforzando la quota azionaria pubblica.
Nella Francia spossata dalla crisi e dove il peso del debito fa vacillare un sistema di welfare tradizionalmente generoso, il progressismo targato Ps rischia di prendere staffilate da tutte le parti. Macron l’accusa di soffocare la libera impresa sotto montagne di oneri e regole. Per Mélenchon e compagni, invece, il Ps s’inchina davanti allo strapotere di multinazionali e finanza. Come dire che i militanti socialisti si preparano a vivere tempi particolarmente agitati.