Gentile direttore,la lettera del signor Marco Sostegni e la sua risposta sulla bestemmia ("Avvenire", 14 gennaio 2016) mi hanno riportato a molti anni fa, e a un dialogo con padre David Maria Turoldo, invitato a Treviso per un convegno avente per tema l’Eucaristia. Terminato l’incontro interrogai padre Turoldo su come comportarsi di fronte a una persona che bestemmia in pubblico. Dall’alto della sua statura mi osservò e quasi con sarcasmo, rispose: «Silenzio, dignitoso silenzio». Rimasi dolorosamente stupito d’una tale risposta, anche perché una volta ricevetti un’offesa innominabile da una persona alla quale avevo detto una parolina perché bestemmiava. Roba da dargli un pugno in faccia, il che non avvenne. Che dire? A lei trarre una riflessione, dal canto mio, stringi stringi, penso che avere una tonaca non vuol dire automaticamente essere coraggiosi... per non parlare delle offese che ricevevo quando lavoravo in carpenteria pesante, oppure su e giù per le impalcature di una impresa edile, oppure in fonderia, dove il "padrone" ti riprendeva bestemmiando, oppure in una azienda agricola, dove chi non bestemmiava era "mezzo uomo"...Ora, che mi trovo immerso con la mia professione nei meandri oscuri, dolorosi e misteriosi dalla malattia, quando sento un ammalato bestemmiare percepisco questo quasi come una protesta verso il Signore, vorrei dire una preghiera, e comprendo, e prego Dio che aiuti chi soffre, e allora, sì, sto zitto, e la fede vacilla. Ha mai visto, direttore, un bimbo di 3 anni morire per tumore cerebrale, con la mamma accanto, consumata dal dolore e dalla stanchezza? Quello che ancora non capisco è perché le persone sane bestemmiano, invece di ringraziare, forse non si rendono conto...
Aldo De MarchiQuanto al lavoro: gentile lettore, nei miei ricordi di ragazzo ci sono anche i contadini della terra di Assisi dove sono cresciuto, che "al tocco" interrompevano la fatica e per prima cosa si inginocchiavano, proprio lì, nel campo, pregando Maria e rendendo grazie a Dio. Erano uomini (e donne) tutti interi, non a metà. Magari poi gli uomini (mai le donne) potevano anche tirare qualche "moccolo", ma il loro respiro era altro e il pentimento sempre genuino. Non lo dimentico, ancora oggi, e mi è di lezione davanti alle bestemmie aperte o dissimulate contro Dio (e contro l’umanità) che sento e a cui rischiamo di abituarci.
Quanto al dolore: non ho difficoltà a dirle che ho visto più di quel avrei voluto vedere. E che ho sentito e sento domande accorate, angosciate e spigolose. Ma proprio in quei duri frangenti mai – davvero mai, e spero di non essere l’unico – ho udito bestemmiare. Sono però totalmente d’accordo con le sue conclusioni: è meglio imparare presto, e non dimenticare, a dire grazie. Come i contadini dei campi della mia memoria.
Quanto a padre David Maria Turoldo: non riesco proprio a pensarlo come una voce carica di sarcasmo, capace di ironia magari sì, e sempre autore di versi profondi e solidi come buona terra lavorata eppure nitidi e affilati come fiamma di candela. E ricordo che, nel suo "Pregare", scrisse che «ci sono perfino bestemmie che sono preghiere, come ci sono preghiere che possono invece essere bestemmie». Mi sembra un pensiero davvero vicino al suo, caro e gentile amico («...una protesta verso il Signore, vorrei dire una preghiera...»). Spero che questo possa aiutarla a riconciliarsi con il ricordo di quell’antico dialogo e a intendere bene il «dignitoso silenzio» al cospetto della bestemmia evocato da un uomo di Dio (e di lettere) che ha saputo parlare, e ancora parla, a tanti.