Opinioni

Editoriale. Pace, forse. Ma di che pace parliamo oggi in Medio Oriente?

Giorgio Ferrari venerdì 13 dicembre 2024

Si può parlare di pace, ora che “il lavoro” di Netanyahu, come lo chiama Donald Trump, è sostanzialmente finito? Si può ricominciare a pronunciare quella parola da troppi mesi sepolta sotto cumuli di macerie, cataste di morti, violazioni territoriali, sfregi di siti, luoghi, memorie civili e religiose? Si può? Sì, si può, anzi, si deve, sebbene la prudenza e – non neghiamolo – un educato disincanto ci avvolgono e ci condizionano. Troppe parole di pace andate perdute, troppe illusioni falcidiate dai lampi di guerra. Troppe guerre, troppi fuochi, troppi incendi, troppo di tutto.

Ma guardiamo i fatti, le nude cose. Per la prima volta Hamas ha comunicato ai mediatori che accetterà di consentire all’Idf, le forze israeliane, di rimanere temporaneamente a Gaza dopo l’entrata in vigore di un accordo di cessate il fuoco e il contemporaneo rilascio di una trentina di prigionieri in cambio della liberazione da parte di Israele di detenuti palestinesi e dell’ingresso di maggiori aiuti umanitari a Gaza. Non proprio una pace durevole, ma qualcosa che tenta di assomigliargli.

Pace, si fa per dire, anche nel devastato quadrante libanese e siriano. Il compito dei cannoni, degli incursori, dell’aviazione di Tsahal sembra concluso. Dimezzata e pesantemente amputata la forza militare di Hezbollah, distrutti e colpiti al cuore i “santuari” di confine attraverso i quali l’Iran faceva passare armamenti e rifornimenti al Partito di Dio, smembrata e smozzicata anche quell’autostrada sciita che da Teheran penetrava come una lama attraverso Siria e Iraq fino al Bahrein e allo Yemen: quella siriana è ora capitale finalmente decapitata del cinquantennale regno alauita che fu del Leone di Damasco Hafez al-Assad e poi del suo sanguinario secondogenito Bashar.

Pace? Non proprio. Promesse, quelle sì, ma guerra al momento no, non più. Come chiamarla? Pax Israeliana? Entente cordiale fra Russia, Turchia e Iran (si chiamerebbe “Formato Astana”, ma di fatto non è poi così dissimile da quella Triplice Intesa conclusa centovent’anni or sono) sulle spoglie di una nazione che non esiste più e con un vantaggioso tornaconto per ciascuno? Sicuramente in parte sì. Erdogan che impedisce la creazione di un Kurdistan siriano e si libera di milioni di profughi che ritornano in Siria; Putin che cauterizza i confini delle proprie basi navali sul caldo mare Nostrum. Perfino Trump si vedrà costretto a modificare la dottrina del disimpegno mediorientale mantenendo una presenza militare americana nella regione. È una pace? Certamente no. È una vittoria strategica di Israele, che di fatto ha ridisegnato la carta geografica del Medio Oriente, prolungando la vita politica del suo leader e mettendo un’ipoteca sul futuro della regione. Ma se tacciono i cannoni non tace il dolore per le ferite e i lutti inferti da due guerre – quella di Gaza e dintorni e quella in Ucraina – che solo ora, in remoti barbagli, sembrano avviarsi a una tregua.

Duro e impietoso in questo senso è stato l’appello di Emergency, Medici Senza Frontiere, Oxfam, l’associazione Fermatevi! e #StopCrimesinPalestine, che ieri hanno denunciato il disastro umanitario e i crimini che si stanno consumando a Gaza, chiedendo al governo italiano di lavorare per un cessate il fuoco immediato. Un appello che ha coinvolto oltre 500mila cittadini e relative firme.
E la pace? Solo un cospicuo groviglio di interessi può davvero promuoverla. Per questo tutti – anche se fingono noncuranza – attendono il 20 gennaio 2025, quando Donald Trump riprenderà possesso dello Studio Ovale. La Cina sarà la sua prima preoccupazione, Ucraina e Medio Oriente un problema collaterale mitigato dagli Accordi di Abramo che riavvicinano Israele, Arabia Saudita, emiri del Golfo, egiziani e maghrebini. Affari, insomma, più che ideali. Un ramo nel quale The Donald è maestro.
Costa dirlo, ma a bassa quota, molto al di sotto degli sforzi nobili di chi nelle guerre non ha mai creduto, la pace passa anche dal portafoglio e dalle convenienze di tutti gli attori e i comprimari del Great Game. Che, come si vede, non ha mai smesso un istante di attirare al proprio tavolo i suoi eterni giocatori.