Scuola. Maturità è dare frutto. A questo, ragazzi, siete pronti?
Ragazzi all'esame di maturità dell'anno scorso
È il chiodo a cui sta appeso tutto il traballante sistema scolastico italiano. Lo chiamano un po’ pomposamente: “esame di maturità“. Sarebbe l’iniziazione che la nostra società riserva a chi arriva a fine percorso e diventa “adulto”. Lo passano il 99,8% degli ammessi, una barzelletta dunque, che sono circa il 97% (quindi direi che sono ammessi tutti eccetto chi abbandona, chi mena un prof, chi va in calo di zuccheri a fine anno e chi proprio non ha fatto nulla). È il chiodo, la procedura attraverso cui lo Stato, ente supremo educatore, accerta che sei maturo, proveniente da qualsiasi scuola. Tutti devono comunque passarci, che siano cresciuti presso le Orsoline o il Liceo Cavour. Tutti uguali alla fine, invece che all’inizio.
Viene cambiato come modalità quasi ogni anno, dal che i ragazzi presumono che questi adulti che devono valutarli devono avere un bel po’ di idee shakerate in testa se le cambiano così spesso. Insomma, potrebbe sembrare (e in parte lo è), una grande pantomima. Che genera irrazionalmente ansie ai ragazzi e stress a professori e genitori. E che non tiene minimamente conto di quei “talenti” che sarebbe interessante coltivare nei giovani (metodo educativo raccomandato dal Vangelo, non da un pedagogista di moda) e che il ministro in carica ha evocato in un libro (La scuola dei talenti) a cui speriamo seguano tante sperimentazioni di una scuola diversa da questa finto-enciclopedica, statalista e confusionaria. Ma guai togliere il chiodo dell’esame di maturità, potrebbero succedere cose libere e lo Stato smetterebbe di disegnarsi cittadini-sudditi.
Ma appunto l’esame di maturità se guardato con realismo, e anche con sana ironia, può rappresentare comunque una occasione per i ragazzi per riflettere anche insieme e con qualche adulto su che cosa significa davvero diventare maturi. Raggiungere un punteggio? Sapere delle cose? Aver consapevolezza del proprio talento ed essere pronto a donarlo, a farlo fruttare? O solo, come spesso si dice oggi, si tratta di raggiungere “una propria indipendenza”? Quali sono i tratti fondamentali di una persona matura? Un indizio ci viene dal fatto che tale aggettivo lo usiamo associato a realtà naturali, piante, frutti, fiori... Il grano, l’uva e altri frutti vengono colti e ci nutrono se sono maturi. Il dare frutto, essere generanti e generosi, è il primo segno di vera maturità, non la autosufficienza o la indipendenza, che semmai sono condizioni che si acquistano in vario modo e non dipendono dall’essere maturi. E una persona matura, come un frutto maturo, nutre.
Infine una caratteristica dell’essere maturi è l’umiltà. Non a caso parola che richiama la terra, ventre, madre, come dice Francesco d'Assisi, di molti frutti e fiori colorati ed erbe. Chi cerca di abbassarsi a terra per dare come lei frutto e non sale in superbia o nella ricerca di fama o successo come valori in sé, dà segno di maturità. Nulla è immaturo come la ricerca di prestazioni individuali senza senso dell'insieme e senza riflesso di utilità comune. I maturi non sono necessariamente quelli che la società attuale (o di ieri) ritiene persone “riuscite” o di “successo”. Che maturità c’è nel fare un monumento alla propria presunta grandezza senza esser fertili di amicizia, di compassione? La maturità vera non è un esame, ma molti esami. E di questi la commissione esaminatrice è la più raffinata: noi stessi. Perché possiamo provare a barare, ma come in bocca sentiamo se un frutto è acerbo, in fondo all’animo sentiamo quando la nostra vita è immatura. Speriamo che tanti adulti animino con i ragazzi un confronto serio e aperto su cosa sia la vera maturità.