Opinioni

Gli esami cominciano domani, con la prima prova scritta. Maturità, buoni motivi per farne una prova di umanità

Roberto Carnero martedì 18 giugno 2013

​Si avvicina l’inizio dell’esame di maturità (lunedì si sono insediate le commissioni e domani avrà luogo la prima prova scritta, quella di Italiano) e puntuali, come ogni anno, si riaccendono le polemiche sull’utilità di questo appuntamento. Le critiche sono note: è un esame dalle maglie così larghe (il 94,4 % degli studenti lo scorso anno erano stati ammessi e il 98,9 degli ammessi erano poi stati promossi), che ci si chiede se abbia ancora senso mantenerlo in vita. Coloro che lo ritengono un esame superato (tra questi anche molti docenti e presidi) avanzano diverse proposte: sostituirlo con una verifica finale interna, chiudere con una semplice certificazione delle competenze o addirittura – come sostiene il pedagogista Giuseppe Bertagna – accorciare di un anno le superiori, per allinearci a quanto avviene in molti Paesi europei dove all’università ci si iscrive a 18 anni (e non come da noi a 19).Si discuta pure, per carità: nulla, in un campo così soggetto a una delicata interazione con i mutamenti storico-sociali qual è l’istruzione, può essere ritenuto immutabile. Detto ciò, ci sono diverse buone ragioni capaci di dare un senso a questa prova che 497mila studenti italiani si troveranno ad affrontare. Innanzitutto si tratta di un fondamentale rito di passaggio: in una società sempre più povera di momenti di questo tipo (anche a scuola: l’esame di quinta elementare non c’è più e quello di terza media è ormai una semplice formalità), l’esame di Stato continua ad assolvere almeno a questa funzione.

C’è poi un’altra ragione di tipo pedagogico: si tratta di un primo momento di confronto con una tipologia di prova (quella davanti a una commissione almeno in parte sconosciuta: ricordiamo che attualmente metà dei commissari d’esame sono esterni) che sarà sempre più frequente nella vita futura dei ragazzi, a partire dall’università, per proseguire poi con esperienze ancora più impegnative (concorsi, colloqui di selezione ecc.). Quando si cominciano a dare i primi esami all’università, può essere un pensiero rassicurante ricordare che in fondo, alcuni mesi prima, si è sostenuto un esame serio e lo si è superato con successo, magari anche al di là delle proprie più ottimistiche previsioni.

Insomma, l’esame di maturità come allenamento per quello che aspetta dopo e come motivo di rafforzamento interiore. Tanto più in un periodo in cui i nostri ragazzi appaiono spesso psicologicamente fragili e preoccupati in maniera eccessiva di fronte alla richiesta di particolari performance, soprattutto per quanto riguarda le prove e le verifiche, al punto che gli psichiatri parlano di una specifica sindrome da "blocco della performance" connessa con la scuola. Come spiega bene lo psicoterapeuta Alessandro Bartoletti in un recente saggio intitolato "Lo studente strategico" (Ponte alle Grazie), si tratta di difficoltà spesso intrecciate, in casi purtroppo neanche tanto estremi, allo spettro patologico che include le fobie e i disturbi ossessivo-compulsivi. È il caso dei ragazzi che mettono in atto tutta una serie di comportamenti volti a evitare la performance (il momento della verifica visto come una minaccia insostenibile) o di quelli che affrontano l’esecuzione dei compiti in maniera eccessivamente perfezionistica, al punto da inibire, paradossalmente, un positivo risultato del processo di apprendimento. L’idea di un esame finale, se adeguatamente gestita da docenti dotati di buon senso (come sappiamo essere la grande maggioranza di loro), può servire a disinnescare, lungo tutto l’anno scolastico in cui ci si prepara a sostenerlo, queste derive fobiche, insegnando una sana gestione dell’ansia. Una cosa che, anche qui, servirà molto in futuro.C’è, infine, a favore dell’esame di Stato, un ultimo motivo che potremmo definire di tipo educativo. In un mondo che spesso illude i giovani (per poi disilluderli anche drammaticamente) di poter ottenere tanto con poca fatica, l’idea che per conseguire un risultato importante (nella fattispecie il diploma) serva mettere in campo una certa dose di impegno, che verrà puntualmente verificata, non può che essere salutare.