Opinioni

Politica estera Usa. Matematica delle coalizioni per contenere Iran e Cina

Eleonora Ardemagni giovedì 14 luglio 2022

Certo, il presidente statunitense Joe Biden ha cominciato la sua missione in Israele e in Arabia Saudita per l’aumento della produzione petrolifera, per rassicurare gli alleati di fronte all’Iran, per frenare la penetrazione, anche tecnologico-militare, della Cina nell’area. Tutto vero. Forse è ancora più importante, però, mettere a fuoco il 'metodo' che Washington sta ora utilizzando per raggiungere i suoi obiettivi in Medio Oriente: la costruzione di coalizioni politiche, fra Stati della regione e no. Coalizioni di Stati che somigliano agli 'insiemi' della matematica, poiché possono contenersi o addirittura intersecarsi. E hanno sempre una funzione di contenimento e deterrenza, soprattutto nei confronti di Teheran e di Pechino.

La prima coalizione, o il primo insieme, è quella degli 'Accordi di Abramo' del 2020: la normalizzazione dei rapporti diplomatici fra due monarchie del Golfo, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, con Israele. È questo il perno di tutto. Gli Stati Uniti spingono affinché altri Paesi arabi, specie del Golfo, riconoscano Israele. Dopo anni di contatti informali e convergenze geopo-litiche, la normalizzazione fra Arabia Saudita e Israele è oggi uno scenario verosimile. Per esempio, i sauditi hanno partecipato a esercitazioni navali guidate dagli Usa, alla presenza anche di Israele. Gli statunitensi stanno inoltre facilitando l’accordo indiretto fra israeliani e sauditi per le piccole, ma strategiche, isole di Tiran e Sanafir, nel Golfo di Aqaba.

L’Egitto le ha cedute al regno saudita nel 2016, ma il via libera israeliano è necessario: le isole del Mar Rosso rientrano infatti nell’accordo di pace del 1978 fra Egitto e Israele (Camp David). Quindi, se osserviamo l’avvicinamento tra sauditi e israeliani, gli 'Accordi di Abramo' hanno un perimetro strategico più vasto dei Paesi firmatari, producendo effetti economici e di sicurezza nell’intera regione. La seconda coalizione, il secondo insieme, riguarda la difesa aerea. La Middle East Defense Air Alliance sarebbe già operativa: un’alleanza fra le sei monarchie del Golfo, l’Egitto, la Giordania e Israele. Lo scopo è fare blocco contro gli attacchi asimmetrici dell’Iran e dei suoi proxies (Gaza, Libano, Iraq, Siria, Yemen), contenendone o neutralizzandone le azioni.

C’è anche una ragione assai pratica: la tecnologia di difesa israeliana è proprio ciò di cui Arabia Saudita ed Emirati Arabi hanno bisogno per proteggere i propri territori dagli attacchi degli houthi, il movimento- milizia dello Yemen sostenuto dall’Iran. Infatti, il sistema americano Patriot, in dotazione alle monarchie arabe, è studiato per intercettare i missili a lungo raggio, ma non per i droni, che volano più bassi e spesso lo eludono. E qui potrebbe entrare in gioco Iron Dome, il sistema di difesa israeliano, che intercetta proprio i missili a corto-medio raggio e i droni.

La terza coalizione, il terzo insieme, orientata alla cooperazione economica, energetica e marittima, è il 'Quad' dell’Asia occidentale: ovvero Stati Uniti, Emirati Arabi, Israele e India. Quindi un insieme che va oltre la regione, intersecando Mediterraneo, Medio Oriente-Golfo e Asia. Biden ha scelto di tenere la prima sessione, virtuale, del 'Quad' proprio durante il viaggio mediorientale. Un dialogo privilegiato che ognuno percepisce a modo suo: per Israele ed Emirati è in chiave anti-Iran, per l’India è in chiave anti-Cina. Ovviamente, come su queste colonne ha annotato ieri Fabio Carminati. anche le contro-coalizioni, prendono forma: il presidente russo Vladimir Putin parteciperà presto a un vertice con Iran e Turchia a Teheran, trio già collaudato per la Siria.

Per la politica estera Usa, le tre coalizioni rientrano in un’unica strategia: contenimento e deterrenza dei rivali regionali (Iran) e internazionali (Cina, Russia), delegando sempre di più la gestione della sicurezza del Medio Oriente a israeliani, emiratini e sauditi. Washington cerca così di mantenere l’influenza pur continuando a ridurre la propria esposizione nel quadrante. Ancor di più adesso che l’Indo-Pacifico e il fianco orientale dell’Europa richiedono un surplus di risorse materiali e politiche.