Oltre il caso Weinstein. Molestie, è lo sguardo adulto a fermarle
«Io dicevo di no, in molti modi e molte volte, ma lui tornava sempre con qualche nuova richiesta…». (Rose McGowan, 'New York Times'). «Difendiamo la libertà di importunare, indispensabile per la libertà sessuale». (Catherine Deneuve, 'Le Monde').
Ho scelto queste due frasi fra le tante, per provare a riflettere sull’acceso dibattito che il caso Weinstein ha innescato sui media. Chiarito che non si tratta, qui, di stupro o di violenza sessuale, che trovano come ovvio unanime condanna, il dibattito trova schierate due diverse sensibilità del mondo femminile nei confronti dell’approccio sessuale dell’uomo: da un lato donne ferite, che accusano i maschi di usare il sesso con prepotenza, di non sapersi controllare, di essere molesti; dall’altro, donne che rivendicano la capacità e la libertà di decidere se, come e quando fermare un uomo che le approccia sessualmente, senza sentire come moleste le sue modalità. Le une accusano duramente le altre: da un lato di essere nemiche delle donne (di aver 'interiorizzato la misoginia'), dall’altro di avere un’ostilità preconcetta verso gli uomini, che comporta una sorta di sessuofobia e mina la libertà sessuale. E tra le prese di posizione e i commenti, ecco anche chi ritiene che l’intemperanza sessuale sia un 'difetto maschile' di cui non stupirsi, ma dal quale semplicemente imparare a difendersi (Natalia Aspesi su 'Il Foglio').
Qual è dunque il cuore del problema? Che cosa è veramente in gioco? Schierarsi in partiti contrapposti ci toglie la capacità di riflettere sulla complessità che caratterizza sempre l’umano; questo modo di affrontare la questione rischia di stringere il sesso maschile in una morsa, nella quale le uniche alternative previste sono la prepotenza da un lato e l’impotenza dall’altro: degenerazioni entrambe della potenza maschile buona. In questo dibattito acceso e incattivito qualcosa manca: qualcosa che ci dica cosa cerchiamo, uomo e donna, uno nell’altra; cosa cerchiamo quando ci guardiamo, quando ci avviciniamo, quando ci corteggiamo, quando facciamo l’amore. Che cosa cerchiamo, ma anche in che modo ci muoviamo in questa ricerca: un modo che è diverso, guidato nell’uomo e nella donna da due codici differenti, inscritti nei nostri corpi differenti. Senza la consapevolezza di questa differenza l’equivoco è sempre alle porte: equivoco che ci rende nemici invece che alleati, e rende impossibile l’incontro.
La seduzione della sessualità inizia con la vista: guardare ed essere guardati sono i due movimenti al centro dell’attrazione erotica. Ma lo sguardo si muove in modo diverso nell’uomo e nella donna. Quando si prepara per una festa, la ragazza si concentra sul 'venire vista': con trepidazione, con preoccupazione o con soddisfazione interroga lo specchio, cura i particolari, interpella le amiche. Quando entra nello spazio dell’incontro è sensibile agli sguardi: li desidera e li teme, li cerca e li sfugge. È lusingata se si accorge di essere al centro dell’attenzione, è preoccupata se nessuno la vede. Si fa bella per essere guardata, e il sentirsi guardata la emoziona e la fa bella. Lo sguardo dell’uomo è per la donna una dimensione centrale fin dall’infanzia, quando le basi della stima di sé sono poste da un padre che sa vederla e apprezzarla non solo in quanto figlia, ma proprio in quanto figlia femmina. Crescendo, la donna continua a cercare conferme di sé negli occhi dell’uomo e a desiderare di incontrare uno sguardo che la faccia sentire unica e importante. Quello che fa innamorare una donna è il modo in cui si sente guardata. Il desiderio di essere vista può portarla però ad esporre il suo corpo allo sguardo maschile senza conoscere pienamente l’effetto che avrà sulla sua sessualità.
Lo sguardo maschile è naturalmente diverso: se la donna si sente attratta dal modo in cui viene vista, l’uomo viene attratto in primo luogo da ciò che vede. Quando si prepara per quella stessa festa il pensiero del ragazzo è concentrato su ciò che vedrà: entrando nello spazio dell’incontro il suo sguardo cerca le ragazze, e le caratteristiche visibili della loro femminilità lo stimolano e lo attraggono, lo incuriosiscono e lo eccitano. In lui lo sguardo sulla donna è in continuità con la dimensione infantile legata alla madre: la donna con i suoi attributi femminili richiama la madre fornitrice di cibo e capace di soddisfare il desiderio. Lo sguardo infantile del maschio ha una dimensione appropriativa, talvolta predatoria, e ha bisogno di maturare e di educarsi per uscire dalla dimensione infantile per la quale la donna rimane prevalentemente un oggetto, che accende il desiderio e ha il compito di soddisfarlo.
Non c’è differenza di valore nei due modi di funzionare dello sguardo, che sono entrambi necessari per incontrarsi; ma c’è la necessità di conoscere questa differenza e di rispettarla, se non vogliamo che sia fonte, come troppo spesso accade, di equivoci dolorosi. Una donna bella, che cura il proprio aspetto per rendersi desiderabile, non si sta necessariamente rendendo disponibile sul piano sessuale: ma se esce dalla dimensione infantile deve capire che i messaggi non verbali veicolati dal suo corpo sono potenti e facilmente equivocabili dall’uomo. Un uomo che apprezza la bellezza di una donna e sente attrazione per lei non è un uomo perverso o colpevole: ma se esce dalla dimensione infantile riesce a vedere in lei molto di più della risposta ai suoi desideri sessuali. L’amore di sé è una componente sana della persona, ma ha bisogno di fare spazio anche all’amore per l’altro: non è un passaggio spontaneo, ma richiede consapevolezza e allenamento. La nostra cultura porta invece a coltivare in noi e nei nostri figli una dimensione prevalentemente narcisistica, che concentra l’attenzione su di sé, sui propri bisogni, sui progetti individuali: questo è vero oggi sia per l’uomo che per la donna, che diventano così incapaci di vedere nell’altro una persona intera, con i propri inviolabili desideri e pensieri.
La dimensione narcisistica infantile non prevede lo scambio, perché è interessata soprattutto a ricevere: gli altri hanno allora il compito di nutrire un sé troppo fragile e il rapporto tende a diventare, anche se inconsapevolmente, di tipo strumentale. Per quanto riguarda i maschi, superare la dimensione narcisistica nei confronti della donna significa riuscire a intravvedere in lei non più solo la madre da cui prendere, ma anche colei che grazie al suo dono maschile potrebbe diventare a sua volta madre. È questo il passaggio che permette all’uomo di uscire dalla doppia deriva della prepotenza che rapina e dell’impotenza che fugge, assumendo invece su di sé il dono della propria potenza. La posizione narcisistica è certamente piacevole, ma rimane fondamentalmente sterile: solo la vera relazione infatti apre le porte alla fecondità e ha il potere di generare cose nuove.
*Neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta