Marcia per la pace. Le parole chiave: accogliere, proteggere, promuovere, integrare
Un momento della Marcia della pace a Sotto il Monte, Bergamo
Nella chiesa di Martina Franca dedicata a un santo della Carità, san Martino, appare dipinto e scolpito il soldato che divise il suo mantello, o meglio che condivise il suo mantello, tenendo per sé la fodera e donando al povero la nappa. C’è qualcosa però che sfugge di questo gesto, così forte da resistere tenacemente all’erosione storica di qualsiasi episodio tanto da diventare emblematico e simbolico per tante generazioni. Ci sfugge sempre quello che avvenne dopo, ovvero il sogno del giovane Martino che vide il Cristo coperto dal lembo di quel mantello donato al mendicante, segno efficace di quella parola sulla quale saremo giudicati nell’ora del Giudizio Universale: «Qualsiasi cosa farete ad uno di questi fratelli miei più piccoli l’avrete fatta a me!»
Sì perché per noi cristiani ogni azione filantropica, di accoglienza, di integrazione, non prescinde dal rapporto diretto, costante, con il Vangelo.
La vera minaccia delle radici cristiane nel nostro tempo sono tutti quei tentativi di recidere il Vangelo, nella sua chiarezza ed integrità, dalla vita quotidiana, politica, culturale, dalla riflessione sui temi scottanti delle fame, della guerra e delle migrazioni, relegando la Parola che ha illuminato e formato le nostre coscienze per secoli solo all’ambito della pratica strettamente religiosa. Il Vangelo, quale buona notizia per ogni uomo sulla faccia della terra per noi è la vera liberazione perché aldilà di ogni appartenenza etnica, religiosa e sociale, ciascuno è figlio di Dio.
La visione notturna di san Martino ci riporta ad un ordine superiore delle cose, di un gesto di carità che viene ispirato dall’alto, che trova le sue motivazioni in un comandamento d’amore del Maestro. Dio ci lascerà alla porta della sua come estranei, se on avremo accolto lui nel forestiero, lui nella nudità, lui nella fame, lui nella sete.
A questa esigenza diretta, cocente del Vangelo, risuona forte in risonanza il magistero del nostro Pontefice, papa Francesco che nel messaggio per la 51esima Giornata Mondiale della Pace ha sottolineato sul gravissimo tema dei migranti e rifugiati alcune parole chiave che qui cito solo accennandole:
Accogliere significa innanzitutto offrire a migranti e rifugiati possibilità più ampie di ingresso sicuro e legale nei paesi di destinazione.
Proteggere, si declina in tutta una serie di azioni in difesa dei diritti e della dignità dei migranti e dei rifugiati, indipendentemente dal loro status migratorio. Per i minori non accompagnati o separati dalla loro famiglia è importante prevedere programmi di custodia temporanea o affidamento. Nel rispetto del diritto universale ad una nazionalità, questa va riconosciuta e opportunamente certificata a tutti i bambini e le bambine al momento della nascita. La apolidia in cui talvolta vengono a trovarsi migranti e rifugiati può essere facilmente evitata attraverso «una legislazione sulla cittadinanza conforme ai principi fondamentali del diritto internazionale. Lo status migratorio non dovrebbe limitare l’accesso all’assistenza sanitaria nazionale e ai sistemi pensionistici, come pure al trasferimento dei loro contributi nel caso di rimpatrio.
Promuovere vuol dire essenzialmente adoperarsi affinché tutti i migranti e i rifugiati così come le comunità che li accolgono siano messi in condizione di realizzarsi come persone in tutte le dimensioni che compongono l’umanità voluta dal Creatore.
Integrare, si pone sul piano delle opportunità di arricchimento interculturale generate dalla presenza di migranti e rifugiati. L’integrazione non è «un’assimilazione, che induce a sopprimere o a dimenticare la propria identità culturale. Il contatto con l’altro porta piuttosto a scoprirne il “segreto”, ad aprirsi a lui per accoglierne gli aspetti validi e contribuire così ad una maggior conoscenza reciproca.
A Dacca, proprio nell’ultimo viaggio apostolico, il Santo Padre Francesco, ha commosso e provocato il mondo con un gesto che declina questi termini tutti insieme, in maniera sinfonica, non tenendo conto di tanti distinguo che il Vangelo tralascia, dandoci una lezione che di fronte alla dignità delle persone devono crollare i tabù. Mi riferisco al gesto di accoglienza e di richiesta di perdono della minoranza etnica Rohingya, costretti ad emigrare in Bangladesh.
A questo gruppo di islamici ha detto: "La presenza di Dio oggi anche si dice Rohingya" - E ancora “A nome di tutti quelli che vi perseguitano e vi hanno fatto del male, soprattutto nella indifferenza del mondo, chiedo perdono, perdono … facciamo vedere al mondo cosa fa l'egoismo con l'immagine di Dio. Continuiamo ad aiutarli, non chiudiamo i nostri cuori, non voltiamoci dall'altra parte. Continuiamo a stare loro vicino perché siano riconosciuti i loro diritti. Farò tutto ciò che posso per aiutarvi». Questo è lo spirito evangelico: fare tutto ciò che è possibile per aiutare.
Amici tutti, qui non disquisiamo di cose che leggiamo sui giornali, ma il mondo della povertà, della guerra, ha bussato e continua a bussare anche dalle mie parti, in terra ionica, e lì dove la talvolta farraginosa macchina burocratica rischiava di rimanere muta e gli interessi politici cercavano di prevalere ci sono segni di ascolto da parte di tante persone generose, della grande lezione di San Giovanni XXIII sulla pace, sul dialogo e sulla soluzione dei conflitti senza ricorrere alla violenza delle guerre.
Anche per questa 50esima Marcia della Pace mi sono impegnato per una soluzione unitaria che vedesse coinvolti in un gesto comune la CEI attraverso la Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, la custodia del creato, la Pax Christi italiana, l’Azione Cattolica, la Caritas italiana e la Diocesi di Bergamo. Il gesto qui dove tutto è cominciato 50 anni fa, fatto insieme corrisponde alla logica sinodale che Papa Francesco ci ha proposto nel Convegno ecclesiale di Firenze e che abbiamo ripreso nella 48esima Settimana Sociale di Cagliari.
Come Chiesa ci lasciamo ferire dai problemi reali della gente il lavoro con le sue precarietà e con la sua mancanza soprattutto nel Sud, la crescita della povertà nel nostro paese, l’aggressione all’ambiente e alla salute e i migranti che come riporta Papa Francesco sono 250 milioni nel mondo di cui 22 milioni e mezzo sono rifugiati.
“Con spirito di misericordia, abbracciamo tutti coloro che fuggono dalla guerra e dalla fame o che sono costretti a lasciare le loro terre a causa di discriminazioni, persecuzioni, povertà e degrado ambientale. Siamo consapevoli che aprire i nostri cuori alla sofferenza altrui non basta. Ci sarà molto da fare prima che i nostri fratelli e le nostre sorelle possano tornare a vivere in pace in una casa sicura. Accogliere l’altro richiede un impegno concreto, una catena di aiuti e di benevolenza, un’attenzione vigilante e comprensiva, la gestione responsabile di nuove situazioni complesse che, a volte, si aggiungono ad altri e numerosi problemi già esistenti, nonché delle risorse che sono sempre limitate. Praticando la virtù della prudenza, i governanti sapranno accogliere, promuovere, proteggere e integrare, stabilendo misure pratiche, «nei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso, [per] permettere quell’inserimento». Essi hanno una precisa responsabilità verso le proprie comunità, delle quali devono assicurare i giusti diritti e lo sviluppo armonico, per non essere come il costruttore stolto che fece male i calcoli e non riuscì a completare la torre che aveva cominciato a edificare.
Ed i Santo Padre ci invita ad avere uno sguardo contemplativo. “La sapienza della fede nutre questo sguardo, capace di accorgersi che tutti facciamo «parte di una sola famiglia, migranti e popolazioni locali che li accolgono, e tutti hanno lo stesso diritto ad usufruire dei beni della terra, la cui destinazione è universale, come insegna la dottrina sociale della Chiesa. Qui trovano fondamento la solidarietà e la condivisione». Queste parole ci ripropongono l’immagine della nuova Gerusalemme. Il libro del profeta Isaia (cap. 60) e poi quello dell’Apocalisse (cap. 21) la descrivono come una città con le porte sempre aperte, per lasciare entrare genti di ogni nazione, che la ammirano e la colmano di ricchezze. La pace è il sovrano che la guida e la giustizia il principio che governa la convivenza al suo interno.
Abbiamo bisogno di rivolgere anche sulla città in cui viviamo questo sguardo contemplativo, «ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze [...] promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia», in altre parole realizzando la promessa della pace”.
Ed il Papa avanza una proposta per due patti internazionali.
“Auspico di cuore che sia questo spirito ad animare il processo che lungo il 2018 condurrà alla definizione e all’approvazione da parte delle Nazioni Unite di due patti globali, uno per migrazioni sicure, ordinate e regolari, l’altro riguardo ai rifugiati. In quanto accordi condivisi a livello globale, questi patti rappresenteranno un quadro di riferimento per proposte politiche e misure pratiche. Per questo è importante che siano ispirati da compassione, lungimiranza e coraggio, in modo da cogliere ogni occasione per far avanzare la costruzione della pace: solo così il necessario realismo della politica internazionale non diventerà una resa al cinismo e alla globalizzazione dell’indifferenza.
La Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale ha suggerito 20 punti di azione quali piste concrete per l’attuazione di questi quattro verbi nelle politiche pubbliche, oltre che nell’atteggiamento e nell’azione delle comunità cristiane. Questi ed altri contributi intendono esprimere l’interesse della Chiesa cattolica al processo che porterà all’adozione dei suddetti patti globali delle Nazioni Unite.”.
In questo senso ci fa ben sperare l’apertura di Corridoi umanitari promossi particolarmente dalla CEI, mentre non ci sembra adeguato per risolvere la situazione l’invio di un contingente militare in Niger. Poi è moralmente inaccettabile la produzione di bombe per lo Yemen ad opera di una fabbrica tedesca a Domusnovas, in Sardegna, su cui sono stato messo al corrente da una commissione di cittadini che ho ricevuto durante la 48esima Settimana Sociale di Cagliari.
Il Papa termina il suo messaggio ricordando la figura di santa Francesca Cabrini: “Questa piccola grande donna, che consacrò la propria vita al servizio dei migranti, diventandone poi la celeste patrona, ci ha insegnato come possiamo accogliere, proteggere, promuovere, e integrare questi nostri fratelli e sorelle”.
E’ bello questo richiamo alla santità come origine di tutta la nostra azione di pace, ci ricorda l’origine della nostra missione: “Beati gli operatori di pace perché di pace perché saranno chiamati figli di Dio (Mt 5, 9).
Grazie.
* Monsignor Filippo Santoro è arcivescovo di Taranto e presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace della Cei