Anche a 30 anni dalla morte Marcello Torre, sindaco onesto e coraggioso di Pagani, continua a "dare fastidio". Dà fastidio il suo nome. O, forse, qualcuno pensa che non dia abbastanza lustro al suo paese che ha amato e servito sino al punto da sacrificare la propria vita. Dava fastidio anche allora, Marcello Torre, quando si oppose alle mire della camorra sulla ricostruzione post-terremoto. E così l’11 dicembre 1980 il piombo dei killer di Raffaele Cutolo fermò la vita di un uomo giusto, una lunga militanza nell’Azione cattolica e nella Fuci, poi l’impegno in politica nella Dc e la decisione di candidarsi a sindaco.Un nome, una storia di cui essere orgogliosi, da ricordare, da additare ad esempio. Per questo, lo scorso 11 dicembre, a trent’anni esatti dal suo assassinio, alla presenza del presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro e del fondatore di Libera, don Luigi Ciotti, gli era stata dedicata una bella piazza della città salernitana. Una decisione presa con delibera dall’amministrazione comunale. Sulla lapide poche ma significative parole: «Nel tuo nome noi continueremo. I giovani che tu amavi». Già, quel nome... Dopo appena un mese la stessa amministrazione comunale (retta da un sindaco facente funzioni in quanto il primo cittadino, Alberico Gambino, è stato sospeso dopo una condanna in primo e secondo grado per concussione) si è rimangiata la decisione e con una nuova delibera ha tolto alla piazza il nome Marcello Torre, ripristinando quello vecchio.Quel sindaco onesto e coraggioso è ancora scomodo? «Tutti i paganesi in questi mesi hanno espresso il loro disappunto – si è giustificato il sindaco facente funzioni Salvatore Bottone. – Marcello Torre deve essere ricordato dalla città di Pagani, ma non con l’intitolazione di quella piazza». Piena di dignità la reazione della moglie e della figlia di Marcello Torre. «Siamo stanche delle polemiche che hanno ridotto la memoria di un marito, di un padre, di un martire della Repubblica in un’ignobile farsa. Marcello Torre non ha bisogno di nessuna commemorazione toponomastica».Davvero «fortunato è un Paese che non ha bisogno di eroi». Ma, aggiungiamo noi, fortunato è anche un Paese che ricorda gli uomini che lo hanno onorato, e una città che sa essere grata ai suoi figli migliori. «Non voleva essere un eroe. Era solo un uomo giusto», dice la figlia Annamaria. Perché, allora, una comunità deve provare «disappunto» se a un uomo giusto, che per difendere la sua gente dalla violenza criminale ha perso la vita, viene dedicata una piazza? Non ci dovrebbero essere dubbi o, peggio, resistenze. Memoria e impegno. Un nome, quel nome, andrebbe non solo scritto sulla targa di una piazza, ma ripetuto, raccontato, fatto vivere. Soprattutto tra i giovani. Dimenticare è uccidere una seconda volta.