Opinioni

Occorre un rapporto più stretto tra istruzione e lavoro. Mani e ingegno per formare i giovani

Claudio Gentili giovedì 22 novembre 2012
La prossima Settimana Sociale, che sarà dedicata al tema del lavoro e della famiglia, mette al centro dell’attenzione i nodi con cui ci stiamo confrontando quotidianamente. La produttività del nostro Paese si sta riducendo: in dieci anni, la nostra capacità produttiva è scesa dell’1,2% annuo rispetto alla media Ue. Le nostre scuole e università sono sempre meno competitive con i sistemi educativi europei. Siamo al penultimo posto nella classifica Ocse per numero di giovani laureati (solo il 21% della fascia 25-34 anni) e abbiamo – dietro solo alla Bulgaria – oltre 2 milioni di giovani che non studiano, non lavorano, non si impegnano a cercare (gli ormai famosi "Neet"). L’ascensore sociale è bloccato: solo il 9% dei ragazzi tra 25-34 anni si laurea tra i figli di genitori a bassa istruzione. In aggiunta, ben il 47% del nostro capitale umano non ha un’istruzione che vada oltre la scuola media, quasi metà della popolazione lavorativa, mentre in Germania solo il 15%.Con questi numeri siamo una "Nazione a rischio". Siamo un Paese inospitale per i giovani. Basti dare uno sguardo a chi li forma e dirige: il nostro Paese ha gli insegnanti più vecchi del mondo, appena lo 0,2% dei professori ha meno di 30 anni e solo il 6% meno di 40 anni. L’età media dei membri dei CdA delle banche è di 15 anni più elevata della media Ocse. Eppure fa più rumore la bufala di un lacrimogeno sparato da un palazzo del potere, che la realtà di un lavoro a cui non siamo capaci di "allenare" i nostri giovani. Dobbiamo prendere atto che in Italia, forse senza accorgercene, abbiamo espulso progressivamente il lavoro dal sistema formativo.In Germania apprendistato vuol dire una parte importante del percorso di studi, e lo frequentano 2 milioni di giovani. In Italia, a tutt’oggi, è solo un contratto, utilizzato per conseguire un titolo di studio da percentuali bassissime di giovani. In Germania i percorsi tecnico-professionali sono socialmente prestigiosi. In Italia la formazione professionale è ancora considerata una scuola di "Serie B". Accanto allo spread finanziario dobbiamo cominciare a prestare attenzione a uno spread ben più importante: quello educativo. Non basta agire sui titoli, sui tagli, sulle cure rigorose. Dobbiamo urgentemente risolvere l’emergenza educativa e puntare sull’istruzione dei nostri ragazzi, che va collegata con il mondo del lavoro e dell’impresa. La cultura dei mestieri è strategica per ritrovare produttività e per salvare i giovani dalla sfiducia e dallo scoraggiamento. Lo intuì già nel 1841 don Giovanni Bosco, che ai ragazzi della Tettoia Pinardi dava la possibilità di studiare e, nel contempo, di apprendere un lavoro. Scuola e impresa devono mettersi in rete per restituire all’Italia l’orgoglio di unire mani e ingegno, portando sviluppo e competitività al Paese, a cominciare dai giovani.È questo lo spirito con cui si svolge a Verona, dal 22 al 24 novembre, la XXII edizione di Job&Orienta, la più grande manifestazione di orientamento in Italia, con il significativo titolo "Mani e ingegno". Le novità di quest’anno sono due: le Olimpiadi dei Mestieri, in cui saranno premiati i giovani della formazione professionale e la prima Convention nazionale delle Reti scuola e impresa. Da Verona parte un messaggio molto importante: formazione e lavoro vanno insieme per lo sviluppo, l’innovazione e la competitività. Premiare i migliori studenti d’Italia nel campo dell’apprendistato, dell’artigianato e dell’istruzione tecnica e professionale, significa ridare valore educativo all’esperienza del lavoro. Mettere in risalto le reti tra scuola e impresa che assicurano lavoro ai giovani, in un Paese che vive un profondo deficit di coesione, significa puntare sui territori e sulle piattaforme produttive per rilanciare lo sviluppo.