I bambini annegati a Manfredonia. Troppo soli in vita e in morte
Che brutta la cattedrale di Manfredonia mezza vuota ai funerali dei piccoli Daniel e Stefan. E soprattutto che triste e che ingiusta. Erano “solo” bimbi rumeni. No, non basta che due bimbi muoiano in quel modo drammatico Ci vuole quell’aggettivo, quel marchio, quello stigma. In fondo gli immigrati rumeni, e più in generale di alcuni Paesi dell’est, li guardiamo e trattiamo con sospetto. Borderline, ma poi sono loro a riempire i cantieri dei bonus 110%. Dove non poche volte cadono dalle impalcature. Ma erano solo romeni o albanesi. Colpa loro. Poco attenti, poco ligi alle regole.
Forse qualcuno ha pensato che anche Daniel e Stefan se la sono cercata, non hanno rispettato le regole, superando quella poco impenetrabile recinzione, di cui era responsabile un italianissimo imprenditore agricolo ora indagato. E allora lasciamo che a piangerli siano solo i genitori, i fratellini e pochi altri, come ha denunciato con forza l’arcivescovo di Manfredonia padre Franco Moscone. «La parola di Dio ci dice che dobbiamo piangere con chi piange e gioire con chi gioisce. La nostra città impari a piangere e ci sono tanti motivi». Come Daniel e Stefan.
Troppo soli nella vita, troppo soli nella morte. Invece i funerali potevano essere occasione per farsi sentire vicini, per abbracciare, ma anche per chiedere scusa e impegnarsi perché non accada più. «Serve un piano serio di accoglienza».
Lo ha ripetuto più volte in questi giorni padre Franco Moscone, venuto dal Nord in questa terra foggiana tanto bella e difficile, terra di straordinaria agricoltura dove braccianti immigrati sono sfruttati da padroni italiani, terra di turismo di alta qualità dove la mafia garganica impone il pizzo a colpi di bombe. Manfredonia è la diocesi del ghetto di Borgo Mezzanone, la “ex pista” dove sopravvivono migliaia di immigrati e dove la Caritas diocesana prova ad aiutarli, così come faceva con la famiglia di Daniel e Stefan.
Una Chiesa che c’è, che denuncia e interviene. Senza fare distinzione. Invece quanti distinguo, quante dimenticanze attorno alla morte dei due piccoli. Alcuni articoli hanno ricordato la vicenda di Ciccio e Tore, i fratellini di Gravina di Puglia, scomparsi nel 2006 e ritrovati morti due anni dopo in un palazzo abbandonato. Ben pochi, Avvenire tra questi, quella di Christian, 4 anni, e Birka, 2 anni, morti bruciati due anni fa nell’incendio della loro baracca a Stornara, sempre nel Foggiano. Ci stiamo abituando a queste morti? Alle drammatiche morti? Ancora qualche attenzione la ricevono le morti in mare. Lì i riflettori sono ancora accesi. Non sui morti del “dopo”, della cattiva o negata accoglienza, sui tanti morti bruciati nei ghetti, sui morti nei cantieri, sui morti travolti in bicicletta o chiusi in un furgone mentre tornano da una lunga e faticosa giornata sui campi.
Ancor meno accesi su questi due bimbi, «vittime innocenti, segno di sconfitta della nostra società», li ha definiti l'arcivescovo. Bimbi vivaci e curiosi, ma troppo soli. Soli in vita e soli in quelle bare bianche. Anche gli articoli sui funerali sono un triste segnale. Tutti uguali, quasi un “copia e incolla” delle agenzie di stampa. Nessuno sforzo per capire e compatire, per muoversi e commuoversi. E allora a preoccupare non è solo una cattedrale mezza vuota, ma il cuore di un Paese mezzo vuoto. Ma, in fondo, erano solo due bimbi rumeni.