Il tema. Malati, disabili, dementi: vite "emarginate"? Il Vangelo dice l'opposto
Duccio di Buoninsegna, La guarigione del cieco di Gerico
«Mi raccomando, vogliate bene agli anziani...». È il mandato che, nel 1919 in punto di morte, monsignor Giuseppe Ciccarelli lascia a chi condurrà la sua “pia opera”: dalla nascita nel 1885, come asilo per bambini di strada, sarebbe diventata la Fondazione che gli è intitolata e oggi gestisce 12 strutture per anziani, disabili e persone affette da disturbi neuro-comportamentali con una ampiezza di servizi e una varietà di attenzioni per i degenti che lasciano intendere quanto quella semplice frase fosse la forma di un carisma assistenziale dal sapore intensamente evangelico.
La Rsa di San Giovanni Lupatoto della Fondazione Pia Opera Cicarelli - .
La visita alla casa di riposo della Fondazione Ciccarelli a San Giovanni Lupatoto – 25mila abitanti a due passi da Verona – resterà incisa come un’esperienza per svariati aspetti assai eloquente nei partecipanti al convegno nazionale di Pastorale della salute, concluso ieri all’Opera Don Calabria, sopra il capoluogo. Perché si può ben dire che la grande struttura per anziani sia il cuore del paese di cui fu parroco Ciccarelli, uno di quei preti come Daniele Comboni, Nicola Mazza e lo stesso Giovanni Calabria che hanno fatto di Verona un caposaldo della santità sociale dedita al prendersi cura di poveri e malati.
Il busto di monsignor Giuseppe Ciccarelli nel giardino della "sua" casa di riposo a San Giovanni Lupatoto (Verona) - .
Le opere fiorite dalla loro profezia sono testimoni di una intuizione radicata nella visione cristiana della persona, tangibile nei tre giorni del convegno organizzato dall’Ufficio Cei attraverso i luoghi stessi di una carità che non ha mai smesso di essere creativa, fino a usare oggi il massimo delle tecnologie disponibili ma sempre e solo se funzionali al benessere dei degenti. E in un tempo in cui molto si parla di “difesa dell’umano” dallo strapotere degli algoritmi è dentro ospedali e Rsa legate alla Chiesa veronese che si apprende a prima vista come si fa. Proprio lo spirito e la visione della persona umana che si coglie nella vitalità di queste intuizioni carismatiche applicate alla salute e alla vita spingono a risalire alla loro radice. Cosa le ha ispirate? E quale idea le muove ancora oggi?
Il "giardino d'inverno" della Rsa di San Giovanni Lupatoto, parte della Fondazione Pia Opera Ciccarelli - .
È quindi pertinente la scelta dell’Ufficio Cei di scandire i tre giorni di lavori (fruibili online nei video sul sito www.convegnosalute. it) con altrettante lectio su frasi ed episodi dei Vangeli che racchiudono uno sguardo attualissimo sulla domanda umana di guarigione e di salvezza, oggi anche più acuta per la precarietà del Servizio sanitario e lo sgomento indotto da una società che rifugge dolore, malattia e morte, incapace di dare senso a esperienze umane dalle quali propone quasi solo vie di fuga. Dal «Non ho nessuno che mi immerga» del Vangelo di Giovanni, spunto di tutto il convegno, si è compreso che viene la persuasione che la domanda di cura passa per un’attesa di relazione prima di chiedere una terapia adeguata: è in quello sguardo di Gesù sul paralitico alla piscina di Betzaeta che nasce una vita risanata. Il paralitico infatti non chiede la guarigione ma qualcuno che si prenda cura di lui: ed è questa azione che il Vangelo ci indica perché possa avvenire la guarigione, che nella pagina evangelica prende la forma del distacco dalla barella dove il paralitico è rimasto inchiodato per 38 anni a un limite umano che pareva inesorabile, una condanna senza speranza.
La tomba dov'è sepolto monsignor Giuseppe Ciccarelli, in un angolo del giardino della Rsa di San Giovanni Lupatoto - .
Il Vangelo pullula di guarigioni, come se questa fosse la chiave di lettura della stessa salvezza: una incarnazione piena dell’annuncio, un messaggio che passa attraverso la malattia per far comprendere come Dio non si ritragga davanti al nostro limite, anzi. È quel che emerge dalla pagina nella quale Marco annota che «Gli portavano tutti i malati e gli indemoniati», come la prescrizione di un destino per la Chiesa. «Gesù ci mostra di voler fare i conti con l’esperienza umana segnata dalla sofferenza – commenta don Andrea Gaino, cappellano all’Ospedale veronese di Borgo Roma e fine esegeta –. Gli “indemoniati” sono la figura di una condizione segnata dalla privazione della libertà rispetto a ciò che ci condiziona e che pensiamo ci impedisca di “farcela”. Gesù scende nella sera della nostra vita e ci cura liberandoci, rendendoci capaci di vincere i nostri limiti, riconciliandoci con noi stessi e gli altri. La guarigione ci mette in grado di capire che non viviamo solo dei nostri bisogni, che c’è un oltre. Decisivo poi che questi malati vengano portati a Gesù da una comunità che rompe la loro segregazione».
Ma cosa chiediamo nella malattia? È la domanda che echeggia da Luca – «Cosa cosa vuoi che faccia per te?» – nella memorabile pagina del cieco di Gerico, centellinata ieri da don Luciano Luppi, docente di Teologia spirituale alla Facoltà teologica dell’Emilia Romagna: «Dalla sua condizione di marginalità e dipendenza il malato viene posto al centro dell’attenzione, Gesù gli restituisce la parola, lo fa esprimere sul suo desiderio. Non è semplice oggetto di un intervento terapeutico ma diventa protagonista della sua guarigione attraverso il legame che si crea con Gesù. E la gente attorno capisce che non deve essere più ostile né indifferente ma restituire dignità piena a chi è bisognoso di salute e di riscatto. Siamo noi quelli chiamati a vedere in maniera nuova la condizione del malato: la marginalità diventa luogo che rivela la condizione umana. Gli infermi, come i poveri, non sono un’eccezione antropologica ma rivelano un tratto essenziale della vita ». Cambia tutto.
A cominciare dal rapporto con la malattia: «Non lasciamo al male l’ultima parola – è l’analisi di don Marco Gallo, teologo liturgista –. Il male pretende silenzio: il dolore fisico isola. L’amore, il perdono, la guarigione hanno bisogno di parole, di relazione, di rapporto con la realtà». Letture scritturistiche che convergono su più punti. E dicono molto su cosa spinse le grandi opere della carità e della salute, e cosa deve animare lo sguardo cristiano oggi sul nascere, l’ammalarsi e il morire. In questo scenario è tanto più necessaria una «nuova risposta al fortissimo bisogno di speranza – è la conclusione dell’arcivescovo di Gorizia Carlo Maria Redaelli, a capo della Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute –. È molto significativo che tra i percorsi per l’indulgenza giubilare ci venga indicata la visita ai malati come pellegrinaggio verso Cristo presente in loro. Pensiamo dunque a gesti, anche piccoli, che mostrino la capacità di prendersi cura e che possano diventare la normalità dell’azione della Chiesa. Una “pastorale della salute della porta accanto”».