«Non siamo dei viandanti verso l’abisso, verso il silenzio del nulla o della morte». Attraverso Cristo, ha detto il Papa a Madrid, sappiamo che siamo «dei pellegrini verso una terra promessa, verso di Lui, che è la nostra meta e anche la nostra origine». Così ha detto ai seminaristi, ma in realtà a tutti i ragazzi a Madrid. E forse, anche a quelli che a Madrid non erano affatto.Agli altri: a quelli che in una chiesa non entrerebbero mai, a quelli che cercano senza sapere che cosa, a quelli che sfidano assurdamente il destino in folli corse il sabato notte; ai soli, ai già cinici, e ai soddisfatti, che credono di bastarsi da soli.Immaginate di potere dire queste poche parole alle folle di adolescenti che si accalcano in quei locali notturni dove si beve, si beve e si prende roba con l’esplicito scopo di perdere la cognizione di sé; o in quelle strade dei sobborghi delle grandi metropoli dove fra i giovani cova una rabbia da emarginati, silente ma pronta a esplodere, improvvisa, furiosa. O di dirlo ai tanti ragazzi 'normali' con un benestante presente, un futuro precario e il tacito dubbio d’essere quasi, coi loro vent’anni, di troppo, in un Occidente in declino.Forse queste parole si perderebbero nel frastuono, fra le tante che assordano le nostre giornate; ma se qualcuno ascoltasse, che sguardo scoprirebbe in quell’annuncio. Perché è radicalmente diverso camminare verso una meta dove siamo attesi e amati, dal percepirsi al mondo senza vederne una ragione.È diverso avanzare, anche faticosamente, verso un porto dove ci aspettano, dall’andarsene in giro seguendo solo la propria voglia o inclinazione; sperando negli oroscopi, e angosciati dal fato – che ciecamente arrivi, senza un perché, a cancellarci in un momento. È un vivere del tutto trasformato, l’essere figli, dall’essere un caso; cambia il modo di aprire gli occhi al mattino, e di amare e diventare vecchi, e lo sguardo sugli altri; cambia anche il dolore e la morte, perché perfino perdere un figlio è diverso, dentro quella promessa. E se un ragazzo da Madrid tornasse senza altro aver capito che questa sola parola del Papa, già sarebbe un dono grande. Il capovolgimento felice di chi sia certo che non siamo un casuale incrocio di cromosomi, carne che inesorabilmente invecchia, orfani nell’infinito – come implicitamente sussurra un coro concorde, in questo presente. (Se così fosse, in realtà, davvero sarebbe ragionevole prendere ciò che si può, anzi afferrare, sordi a ogni voce degli altri; se siamo un nulla, che almeno ci sia dato di annullarci come meglio ci piace). Così che prima di dire ai figli di essere onesti e buoni, vorremmo essere capaci di trasmettere loro questa sola certezza: non siamo un caso ma, come recita la Scrittura, «prima di formarti nel grembo di tua madre, io ti conoscevo». Non siamo un nulla ma, in Cristo, chiamati e attesi.L’ha detto Benedetto XVI ai seminaristi di Madrid, ma diceva a tutti i nostri figli, vicini e lontani. (E anche a noi, che nell’affanno, nel rumore, a volte ce ne dimentichiamo).